In questo numero

processo ai grandi trial




Lo studio ROSE
Lo scompenso cardiaco acuto si associa frequentemente ad un peggioramento della funzione renale, che può essere causato da multipli fattori fra cui il più rilevante è l’aumento delle pressioni venose centrali dovuto allo stato di congestione. Nello studio ROSE (Renal Optimization Strategies Evaluation), commentato da Carlo Campana e Fabrizio Oliva, viene presentato il confronto tra trattamento con diuretico da solo o in associazione a basse dosi di dopamina (a dosaggio cosiddetto renale) oppure a basse dosi di nesiritide (un BNP sintetico) in pazienti ospedalizzati per insufficienza cardiaca acuta. Questo studio, come molti altri trial sullo scompenso cardiaco acuto, ha condotto ad un risultato neutro. Né l’associazione di dopamina né di nesiritide hanno ridotto il tasso di peggioramento della funzione renale in questa categoria di pazienti né hanno aumentato significativamente il quantitativo urinario nei pazienti trattati. La terapia dell’insufficienza cardiaca acuta deve essere mirata a sottocategorie precise di pazienti (ipertesi e congesti piuttosto che ipotesi e congesti). Probabilmente il risultato negativo di tanti trial, così come del ROSE, è dovuto alla mancanza di identificazione di gruppi di pazienti con insufficienza cardiaca acuta omogeni che potrebbero trarre beneficio da trattamenti che nella pratica clinica appaiono vantaggiosi, quale la dopamina a dosaggio renale nei pazienti tendenzialmente ipotesi e con segni di congestione. •

editoriali




Perché i trial farmacologici sullo scompenso cardiaco acuto falliscono

Maria Frigerio ci propone alcune delle motivazioni per cui i trial farmacologici nell’ambito dell’insufficienza cardiaca acuta abbiano dato esiti negativi o soltanto marginalmente positivi negli ultimi 10-15 anni, prendendo spunto dal commento al risultato neutro del trial ROSE. In particolare, nessuno studio di fase 3 ha dimostrato, ad oggi, un miglioramento della sopravvivenza e/o una riduzione delle riospedalizzazioni a breve o medio termine come endpoint principali. Tra i farmaci che non hanno portato ad un miglioramento dell’endpoint principale abbiamo diverse categorie: inotropi (milrinone, levosimendan, dopamina), BNP ricombinante (nesiritide), antagonista dell’endotelina (tezosentan), antagonista recettoriale dell’arginina vasopressina (tolvaptan), antagonista del recettore A1 dell’adenosina (rolofillina). Dall’analisi dei recenti trial sullo scompenso cardiaco acuto, la maggior parte ha arruolato pazienti a rischio precoce relativamente basso, con una mortalità a 30 giorni che, sebbene molto variabile, si attestava intorno al 5%. Pertanto, per evidenziare un beneficio sulla mortalità ospedaliera sarebbero necessari un farmaco di straordinaria efficacia e l’arruolamento di un numero molto elevato di pazienti, ben oltre i numeri che vengono arruolati in questo tipo di studi. Forse anche per questo la mortalità ospedaliera/a breve termine è per lo più stata inclusa tra gli endpoint di sicurezza insieme con gli eventi avversi, e le sono stati preferiti endpoint di efficacia correlati ai sintomi e segni di scompenso (dispnea, congestione, e, più recentemente, parametri di funzione renale). Questo approccio è palesemente diverso da quello utilizzato negli studi sulle sindromi coronariche acute, patologie nelle quali tuttora la mortalità totale a breve termine, benché inferiore a quella dell’insufficienza cardiaca acuta, rimane – da sola o in combinazione con gli eventi cardiovascolari maggiori – tra gli endpoint primari o secondari di efficacia. Vengono quindi esaminati gli endpoint a medio termine e quali risultati si sono ottenuti nei diversi trial. L’editoriale evidenzia come verosimilmente uno dei motivi principali per cui alcuni farmaci potenzialmente efficaci possano non superare la prova risieda proprio nei limiti di impostazione del trial stesso. •




Linee guida americane vs europee sulle dislipidemie
In questo editoriale Alberico Catapano et al., in rappresentanza della Federazione Italiana di Cardiologia e della Società Italiana per lo Studio dell’Arteriosclerosi, ci presentano i punti salienti delle ultime linee guida americane per il trattamento del colesterolo plasmatico, che riportano le nuove indicazioni per la terapia con statine in prevenzione primaria nella popolazione generale. Sulla base di questo documento, dove viene suggerito di trattare soggetti di età tra 40 e 75 anni con livelli di colesterolo LDL tra 70 e 189 mg/dl con un rischio stimato di malattia cardiovascolare aterosclerotica a 10 anni ≥7.5%, il numero di soggetti che sarebbe necessario trattare diventerebbe molto ampio. Da qui la necessità di guardare in modo critico questo documento e di confrontarlo con le recenti linee guida europee del 2012 sulla gestione delle dislipidemie. Infatti la decisione di intraprendere una terapia con statine va personalizzata sul singolo paziente che appartiene ad un certo gruppo etnico e sociale. Gli score di rischio americani, europei e nazionali sono infatti calibrati sulla popolazione da cui sono stati ottenuti, per cui laddove disponibili è più opportuno fare riferimento agli score europei o italiani. Nella scelta se intraprendere o meno una terapia con statine, avere una conoscenza di tali score diventa importante per comprendere chi trattare facendo meno riferimento al valore di colesterolo LDL in assoluto. •

la cosa pubblica
Articolo del mese




I cittadini e la valutazione nel Servizio Sanitario Nazionale

Tutti noi, dal nostro punto di vista di medici e in particolare di medici ospedalieri, ci poniamo di fronte al sistema di valutazione del Servizio Sanitario offerto dalle nostre strutture con una certa diffidenza e un certo disagio. Siamo pronti a criticare la nostra organizzazione e pensiamo di avere almeno qualche ipotesi di miglioramento, se solo ci fosse affidato un maggiore potere gestionale. Di fronte a un giudizio “di parte terza” che non sia più che favorevole, siamo portati a pensare che la valutazione non abbia tenuto conto di particolari circostanze (la complessità della casistica, la carenza di risorse, le specificità sfavorevoli del nostro ospedale ...), quasi come se la valutazione fosse diretta alle nostre competenze, capacità e potenzialità, e non invece, semplicemente, al prodotto – così come viene offerto ai cittadini, e con gli esiti che comporta.
Il contributo di Carlo Alberto Perucci, direttore del Programma Nazionale Esiti AGENAS, ci riporta alle motivazioni e ai principi ispiratori delle procedure di valutazione (e della comunicazione dei loro risultati): dare alle strutture elementi oggettivi di valutazione comparativa che permettano di identificare i punti di debolezza della nostra organizzazione e quindi di migliorare
e aumentare la trasparenza e il livello di informazione per i cittadini/pazienti che usufruiscono del servizio. Nonostante i limiti
e i possibili errori del sistema di valutazione, che potranno essere corretti anche con l’apporto dei soggetti che lavorano presso le strutture valutate, assumere il punto di vista dei cittadini, potenziali e attuali fruitori del servizio (in un sistema, tra l’altro, che offre poche alternative), non può che essere utile
a noi e a loro. L’articolo è offerto alla discussione attraverso la piccola posta (
piccolaposta@giornaledicardiologia.it) fino alla fine del mese di febbraio. •

rassegna




Blocco di branca intermittente:
un modello clinico per lo studio di fenomeni elettrofisiologici

Dalla lettura e dall’interpretazione corretta dell’ECG di superficie si ricavano spesso informazioni di interesse dei fenomeni elettrofisiologici cardiaci. In questa rassegna Marcello Costantini ci spiega da un punto di vista elettrofisiologico il meccanismo del blocco di branca intermittente. La conduzione aberrante con blocco di branca o emiblocco è un fenomeno fisiologico quando si manifesta a seguito di una brusca riduzione della durata del ciclo cardiaco come nel caso di extrasistoli atriali o nell’innesco di tachicardia sopraventricolare. Qui verrà affrontato il disturbo di conduzione intraventricolare intermittente che compare per semplici e progressive variazioni di frequenza sinusale, in particolare nel caso di blocco tachicardia-dipendente. Vengono presentate le ipotesi che spiegano come un disturbo di conduzione intraventricolare comparso durante incremento di frequenza al raggiungimento di un dato valore critico di ciclo cardiaco faccia fatica a regredire al rallentamento della frequenza o il perché della comparsa di negatività dell’onda T nelle derivazioni antero-settali quando nel blocco di branca sinistra intermittente si passa da conduzione con blocco di branca a conduzione normale.
Nella premessa di uno dei suoi noti manuali il Professor Oreto scriveva “Quando ero un semplice specializzando, pensavo che la parte più semplice dell’elettrocardiografia fosse quella che si occupa del tracciato a 12 derivazioni, la parte cioè dedicata alla diagnosi di blocchi di branca, dell’ipertrofia ventricolare [...]. Al contrario, le aritmie, che richiedevano spesso una registrazione prolungata di una sola derivazione mi sembravano difficili. Mi ero fatto l’idea che il vero problema dell’elettrocardiografia consistesse nel comprendere e definire il disordine del ritmo cardiaco [...]. Al paragone, il riconoscimento di un infarto anteriore o di un blocco di branca sinistra era uno scherzo. Sbagliavo. Ho impegnato diversi anni ad accorgermene. In realtà la sezione semplice dell’elettrocardiografia è proprio quella che si occupa delle aritmie, mentre la parte problematica è il riconoscimento delle alterazioni quali ingrandimenti atriali, ipertrofie ventricolari ...”. Così nella lettura della rassegna di Costantini troveremo quegli spunti per meglio comprendere uno dei fenomeni spesso trascurati dell’ECG di superficie come il blocco di branca intermittente. •

studi osservazionali




Quanto i cittadini, i medici di medicina generale ed i pazienti sanno della fibrillazione atriale
In questo studio ci viene offerta una nuova prospettiva da cui guardare una patologia, la fibrillazione atriale (FA). Questi dati arricchiscono la nostra visione di specialisti cardiologi su questa problematica complessa e tanto diffusa. Gian Franco Gensini et al. ci presentano i risultati di un’interessante indagine commissionata alla fondazione Censis e realizzata nel 2011 su come viene percepita la FA dai cittadini, dai pazienti affetti e dai medici di medicina generale. Per comprendere la portata del peso medico e sociale della FA basti ricordare alcuni dati di studi epidemiologici italiani: la FA ha una prevalenza del 2% nella popolazione adulta e rappresenta il 3.3% delle cause di ospedalizzazione da Pronto Soccorso. La FA è un fattore indipendente di rischio per ictus ischemico, aumentandone di 4-5 volte la probabilità di insorgenza rispetto al ritmo sinusale. Il 90% degli ictus di origine cardioembolica sono attribuibili alla FA, indipendentemente dalla natura parossistica o permanente. In Italia l’età media dei pazienti con FA è 77 anni e nel 47% dei casi sono donne. Solo il 55% dei pazienti con FA non valvolare è in terapia anticoagulante orale, la terapia più efficace nel ridurne il rischio cardioembolico. In questo studio, a cui ha partecipato un campione di 1000 cittadini maggiorenni, 300 medici di medicina generale e 1200 pazienti affetti da FA rappresentativi della popolazione italiana, sono emersi aspetti importanti e utili per guardare con occhio più attento i pazienti con questa malattia. Solo un terzo della popolazione sana percepisce la FA come una morbilità potenzialmente pericolosa per la sopravvivenza. Di questi solo il 65% attribuisce il rischio ad un’associazione con l’ictus ischemico. Nel 50% dei casi i medici di medicina generale ritengono che la FA parossistica comporti un maggior rischio embolico rispetto alla FA permanente e questo potrebbe spiegare il sottoutilizzo delle terapie anticoagulanti da parte di questi professionisti. Oltre a presentarci dei dati di interesse, questo lavoro ci ricorda quanto le campagne di informazione siano necessarie anche in questo ambito per migliorare la consapevolezza della popolazione, dei medici di medicina generale, nonché dei pazienti nei confronti di una patologia che può portare ad ictus ischemico e che può essere prevenuta efficacemente. A sottolineare l’importanza di campagne di sensibilizzazione in tal senso basti ricordare che l’ictus cerebri rappresenta la terza causa di morte in Italia e la prima causa di invalidità.  •




Coinvolgimento cardiaco a riposo in pazienti affetti da sclerosi sistemica

Nonostante sia una malattia rara, la sclerodermia è una patologia molto studiata, in quanto rappresenta un modello estremamente interessante e complesso di fisiopatologia dell’apparato cardiovascolare, coinvolgendone tutte le strutture, dal microcircolo periferico e coronarico al circolo polmonare, dal miocardio al sistema di conduzione, dalle valvole al pericardio. La prevalenza del coinvolgimento cardiaco in pazienti con sclerodermia varia in modo rilevante in base alla definizione data e allo strumento diagnostico utilizzato – arrivando fino a più dell’80% in casi autoptici – ed è un noto fattore prognostico negativo. In questo studio, Alessia Faccini et al. hanno studiato un’ampia popolazione di pazienti con sclerodermia, rilevando una differenza significativa sia nella precocità che nella frequenza del coinvolgimento cardiaco fra i pazienti con forma diffusa e limitata di malattia. Questi dati confermano precedenti lavori, anche italiani, che avevano sottolineato la correlazione fra il diverso pattern di impegno cutaneo e le caratteristiche del coinvolgimento cardiaco. Il crescente interesse rispetto a questa patologia è testimoniato anche dalla recente pubblicazione dei nuovi criteri diagnostici, approvati dalle associazioni di riferimento sia europee che americane, che probabilmente determineranno negli anni a venire un diverso approccio alla diagnosi e cura di questa invalidante malattia.  •

caso clinico




Takotsubo e dintorni. Poco alla volta la cardiomiopatia si rivela
Marco Russo et al. ci presentano un caso di takotsubo nel contesto di una gravidanza, descrivendoci una severa disfunzione ventricolare sinistra acuta e transitoria dove verosimilmente si sono sovrapposti gli elementi della cardiomiopatia peripartum e della cardiomiopatia da stress. Gli autori propongono inoltre le diagnosi differenziali e gli aspetti caratteristici e diversificanti a livello elettrocardiografico, ecocardiografico, dei biomarcatori cardiaci e di risonanza magnetica cardiaca delle diverse diagnosi. Questo caso riassume alcune caratteristiche tipiche della sindrome di takotsubo e al tempo stesso presenta degli aspetti peculiari. Ad esempio come manifestazione iniziale è stata osservata una disfunzione sistolica globale del ventricolo sinistro che nei giorni successivi è diventata solo apicale ( apical ballooning) svelando le caratteristiche più tipiche della cardiomiopatia da stress. Condizione questa che è associata ad un aumentato tono catecolaminergico, dove possono giocare un ruolo con peso diverso nel singolo paziente, la disfunzione microvascolare, la tossicità diretta sui cardiomiociti delle catecolamine, il rapido incremento del postcarico da vasocostrizione periferica e il vasospasmo coronarico. I fattori che invece possono contribuire all’eziologia della cardiomiopatia peripartum sono lo stress ossidativo, la cardiotossicità da prolattina e processi autoimmuni o virali. Scopriamo quindi come si è svelata una cardiomiopatia da stress associata a gravidanza in questa donna di 42 anni nell’immediato postpartum. •

position paper




La gestione della terapia antitrombotica nel paziente candidato a impianto o sostituzione di dispositivi elettronici impiantabili cardiaci

I dati del Registro Italiano Pacemaker e Defibrillatori dell’Associazione Italiana di Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC) del 2012 riportano oltre 25 000 impianti di pacemaker (PM) e oltre 16 000 impianti di defibrillatori cardiaci (ICD) rappresentativi, rispettivamente, del 58% e 85-90% dell’attività di impianto di dispositivi elettronici impiantabili cardiaci (CIED) dei laboratori italiani. Sono aumentate all’aumentare degli impianti sia il numero di sostituzioni che il tasso di complicanze, in particolare infettive, e dall’altro lato si è accresciuta la complessità dei pazienti candidati a impianto di CIED in termini di comorbilità cardiache e non cardiache e di terapia concomitante. In particolare è stato e continua ad essere in significativo aumento il numero di pazienti che ricevono terapia antitrombotica. I tassi di utilizzo della terapia anticoagulante varia dal 15% in pazienti sottoposti ad impianto di PM al 35% in pazienti sottoposti ad impianto di ICD fino a quasi al 50% in pazienti sottoposti ad impianto di dispositivi per resincronizzazione cardiaca (CRT). L’utilizzo di terapia antiaggregante singola o in associazione si attesta invece al 50% dei pazienti. Lo sviluppo di complicanze emorragiche al momento dell’impianto può avere conseguenze clinicamente significative. La gestione del paziente candidato ad impianto o sostituzione di CIED in concomitante terapia antitrombotica rappresenta pertanto un importante argomento gestionale e clinico che interessa decine di migliaia di pazienti ogni anno, ma tuttora controverso in termini di raccomandazioni basate sull’evidenza nelle attuali linee guida. La complicanza emorragica più comune è l’ematoma della tasca, da considerarsi clinicamente significativo quando associato a dolore o prolungamento dell’ospedalizzazione, o a trasfusioni o revisione della tasca. L’ematoma della tasca complica circa il 2.5% degli impianti di ICD e sono superiori al 3% nel caso dei CRT. Gli operatori eseguono le procedure senza interruzione dell’anticoagulante o interrompendo il farmaco e sostituendolo con eparine parenterali con approcci che variano anche all’interno dello stesso centro. Ancora più controversa, per la limitata disponibilità di dati, è la gestione della terapia antitrombotica in caso di procedure di rimozione transvenosa di elettrocateteri. Da qui l’interesse per la lettura di questo documento di Valerio Zacà et al. al fine di formulare raccomandazioni pratiche per la gestione della terapia antitrombotica nei pazienti candidati ad impianto di CIED, generate sulla base di un’approfondita analisi dei dati disponibili in letteratura. •