Rivoluzione nella cardiologia interventistica:
lo
scaffold coronarico completamente bioriassorbibile
Presentazione
Leonardo Bolognese
Dipartimento Cardiovascolare e Neurologico, Ospedale San Donato, Arezzo

A partire dalla fine degli anni ’70, l’introduzione dell’angioplastica coronarica nella pratica clinica ha rivoluzionato il trattamento della cardiopatia ischemica. Tuttavia, accanto a un indubbio beneficio in termini di sopravvivenza nel trattamento delle sindromi coronariche acute e in termini di qualità di vita nell’angina stabile, l’esperienza e gli studi clinici nei dieci anni successivi all’introduzione di questa tecnica di rivascolarizzazione non chirurgica hanno chiaramente evidenziato alcuni limiti sia dal punto di vista procedurale che clinico. L’introduzione di stent coronarici metallici alla fine degli anni ’80 e il successivo avvento di stent a rilascio di farmaco (DES) alla fine degli anni ’90 hanno notevolmente ridotto l’incidenza di restenosi e conseguentemente la necessità di ripetere procedure di rivascolarizzazione sul segmento vasale già trattato, estendendo significativamente l’applicazione di questo trattamento. Tuttavia, la diffusione dell’utilizzo di stent ha incrementato l’incidenza di trombosi tardiva e molto tardiva intrastent, principalmente per fenomeni di riendotelizzazione ritardata, ipersensibilità e alterata reattività della parete vasale associata a disfunzione endoteliale. La prevenzione di questi eventi richiede una prolungata doppia antiaggregazione, che tuttavia alcuni pazienti possono non tollerare o devono sospendere per sottoporsi a interventi di chirurgia maggiore. Un’altra limitazione potenziale degli stent è rappresentata dalla permanenza di un corpo estraneo metallico all’interno dell’arteria che può causare infiammazione della parete vascolare, restenosi, trombosi tardiva e neoaterosclerosi. Gli stent, infine, possono anche compromettere a tempo indefinito la vasomotilità fisiologica del vaso sottoposto a impianto e la possibilità di eseguire un bypass aortocoronarico.
Il continuo sviluppo di nuove generazioni di DES sempre più sicuri ed efficaci ha indubbiamente apportato importanti benefici, senza tuttavia risolvere in modo definitivo le problematiche sopra menzionate. Negli ultimi anni, in verità già prima dell’introduzione dei DES, erano stati fatti dei tentativi di sviluppare DES con polimeri riassorbili al fine di ovviare all’eventuale reazione infiammatoria prodotta dalla persistenza del polimero. La recente realizzazione di uno “scaffold” completamente bioriassorbibile rappresenta in questo senso una vera rivoluzione nell’ambito della cardiologia interventistica. Tra gli scaffold bioriassorbibili finora sviluppati, l’AbsorbTM BVS (Bioresorbable Vascular Scaffold, Abbott®) rappresenta uno dei due prototipi che hanno ottenuto il marchio CE per l’utilizzo nella pratica clinica. L’AbsorbTM BVS ha inoltre accumulato un discreto numero di evidenze cliniche che, sebbene provenienti da studi multicentrici di moderate dimensioni e non randomizzati, hanno fornito risultati positivi e molto promettenti. Lo scaffold ha dimostrato di possedere un’efficacia comparabile a quella dei DES di ultima generazione nel trattamento di lesioni coronariche de novo. Inoltre, il fatto che esso fornisca un supporto vascolare temporaneo per poi scomparire completamente sembra permettere il recupero della funzione endoteliale con il conseguente ripristino delle caratteristiche di pulsatilità e vasoreattività anche in corrispondenza del segmento vascolare sottoposto all’impianto.
Scopo del presente Supplemento è quello di fornire al lettore uno stato dell’arte su questa promettente tecnologia valutandone i risultati già ottenuti, l’applicabilità nella pratica clinica quotidiana e l’enorme potenzialità futura.