In 6 minuti al cuore della fragilità:
il test del cammino in cardiologia geriatrica

Giovanni Gambassi1, Matteo Cesari2, Matteo Tosato1, Liborio Davide Vetrano1, Anna Maria Martone1, Roberto Bernabei1
1Centro di Medicina dell’Invecchiamento (CEMI), Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma
2Gerontopole, Université de Toulouse, Tolosa, Francia
Frailty is a geriatric syndrome due to impaired physiological reserve and characterized by a reduced ability to cope with stressing situations. Frailty and cardiovascular diseases share a common biological pathway and cardiovascular conditions may facilitate the manifestation of clinical frailty. Frailty is identified in 25% to 50% of patients with cardiovascular diseases, with estimates varying depending on assessment methods and population under study. Frail patients with cardiovascular diseases, especially those undergoing invasive procedures, particularly because of coronary artery disease or heart failure, have a substantially higher likelihood of complications and adverse events when compared to robust patients. Gait speed is a simple and reliable measure for objectively identifying frailty in elderly patients with cardiovascular diseases. A performance marker like the 6-minute walking test should be considered for routine use as a prognostic indicator.
Key words. Aging; Cardiac surgery; Cardiovascular diseases; Comprehensive geriatric assessment; Frailty; Gait speed.
INTRODUZIONE
In medicina, la fragilità è una sindrome geriatrica utilizzata per definire le persone anziane con una ridotta resistenza a fattori di stress a causa di una diminuzione della riserva fisiologica1. La diminuzione della riserva fisiologica è multifattoriale e coinvolge un certo numero di sistemi e di organi.
La fragilità è diventata sempre più rilevante nel campo della medicina cardiovascolare per due motivi principali. In primo luogo, l’invecchiamento della popolazione dei pazienti: nel 2010, dei 6 160 000 americani con una prima diagnosi di malattia cardiovascolare, il 62% aveva ≥65 anni di età2. L’età cronologica da sola, però, non è sufficiente a caratterizzare l’eterogeneità dei pazienti più anziani e, invece, un’appropriata valutazione della fragilità è importante per una stima della verosimile età biologica. In secondo luogo, vi è un crescente consenso circa il collegamento tra malattie cardiovascolari e fragilità sia a livello meccanicistico che epidemiologico3.
In questo lavoro, sono analizzati in maniera critica gli studi più recenti sulla valutazione della fragilità in cardiologia geriatrica, per fornire un quadro di riferimento su quando e come misurare la fragilità nei pazienti anziani con malattie cardiovascolari.
CARDIOLOGIA GERIATRICA E FRAGILITÀ
Alcuni studi osservazionali condotti su pazienti anziani hanno suggerito un’associazione tra fragilità e malattie cardiovascolari: Zutphen Elderly Men’s Study (odds ratio [OR] 4.1, intervallo di confidenza [IC] 95% 1.8-9.3; n=450)4, Cardiovascular Health Study (OR 2.8, IC 95% 2.1-3.7; n=4.735)5, Beaver Dam Eye Study (OR 1.4 per punto, IC 95% 1.1-1.8; n=2962)6, e il Women’s Health and Aging Studies (OR 2.7, IC 95% 1.7-4.3; n=670)7.
In studi prospettici condotti in coorti di pazienti anziani, c’è evidenza di una relazione bidirezionale tra malattie cardiovascolari e fragilità. Da una parte, lo studio osservazionale Women’s Health Initiative ha documentato che le donne anziane con malattia cardiovascolare o con fattori di rischio cardiovascolare sono a più alto rischio di sviluppare fragilità incidente8. La malattia coronarica e quelle cerebrovascolari sembrano essere le condizioni associate con il più alto rischio di fragilità incidente (OR 1.5, IC 95% 1.2-1.7 e OR 1.7, IC 95% 1.2-2.4, rispettivamente, n=40 657). Dall’altra parte, gli studi French 3 City e Health ABC hanno dimostrato che tra le persone anziane, quelle con fragilità (determinata sulla base della velocità del cammino) sono a più alto rischio di eventi incidenti e di mortalità cardiovascolari 9,10. Nello studio francese, una ridotta velocità del cammino è stata associata a un aumento marcato (3 volte) della mortalità cardiovascolare a 5 anni, ma non di quella da cancro o da altre cause, suggerendo un effetto sfavorevole della fragilità selettivamente sulla malattia cardiovascolare.
Molto meno documentati sono la prevalenza e l’impatto prognostico della fragilità tra gli anziani ricoverati in ospedale o tra i pazienti con malattia cardiovascolare avanzata. Purser et al.11, analizzando i ricoverati in un reparto di cardiologia, hanno documentato che, a seconda della definizione utilizzata, tra il 27% e il 50% dei pazienti anziani con grave malattia coronarica sono fragili. La velocità del cammino sembra essere il più sensibile e riproducibile marker di fragilità, e una ridotta performance è stata associata a un aumento di 4 volte della mortalità a 6 mesi (OR 4.0, IC 95% 1.1-13.8; n=309). In uno studio italiano su pazienti anziani con scompenso cardiaco, il 54% è stato giudicato fragile, e la condizione di fragilità si associava ad un aumento della mortalità in un arco di 12 anni (OR 1.6, IC 95% 1.1-2.5; n=1332) 12. Analogamente, in pazienti anziani con scompenso cardiaco, Tjam et al.13 hanno dimostrato che la mortalità cardiovascolare è predetta in maniera più attendibile e precisa dalla misura della fragilità piuttosto che dalla classe funzionale NYHA13.
Nel loro insieme, questi dati epidemiologici sembrano sottolineare la frequente coesistenza di fragilità e malattie cardiovascolari. Inoltre, questi studi hanno portato alla luce il non trascurabile impatto della fragilità sugli eventi cardiovascolari e la mortalità.
COME MISURARE LA FRAGILITÀ
Vari strumenti sono stati proposti e validati per una misurazione oggettiva della fragilità clinica14,15. Questi strumenti si compongono di un numero molto diverso di variabili considerate (da 1 a 70), ma tutti tendono a condividere gli stessi elementi di base: lentezza del cammino, debolezza muscolare e ridotta attività fisica. Uno degli strumenti più comunemente utilizzati è l’indice del Cardiovascular Health Study16 che comprende 5 elementi: lentezza del cammino, debolezza muscolare, ridotta attività fisica, esauribilità muscolare e perdita di peso non intenzionale. La presenza di tre o più elementi indica una condizione di fragilità, mentre una persona con solo uno o due elementi, viene classificata come pre-fragile.
Si va ampliando, tuttavia, il consenso sulla ridotta velocità del cammino come il singolo fattore predittivo più sensibile di fragilità ed eventi avversi, molto più fortemente associato di qualsiasi altro preso in considerazione (compresa la forza muscolare e altri test di performance globali)17,18. La velocità del cammino è stata di recente indicata da una task force di esperti come la sola misura utile per la diagnosi di fragilità14. Si suggerisce addirittura che la velocità del cammino possa essere definita come il sesto segno vitale sulla scorta della forte associazione tra velocità del cammino e sopravvivenza19. Studenski et al.20 hanno analizzato dati derivati da 9 studi di coorte su oltre 34 000 ultra70enni che avevano eseguito un test del cammino ed erano stati successivamente seguiti per un periodo variabile tra 6 e 21 anni. La velocità del cammino da sola si è dimostrata capace di predire la sopravvivenza con la medesima accuratezza di modelli che considerano età, sesso, comorbosità, abitudine al fumo, ipertensione arteriosa e storia di ospedalizzazioni.
La misurazione della velocità del cammino ha il vantaggio di essere facilmente applicabile, virtualmente senza costi e senza fare affidamento su questionari soggettivi. Poiché il camminare è un’attività giornaliera di ogni individuo, compresi i pazienti più compromessi, questo test si adatta quasi ad ogni circostanza per la valutazione dello stato funzionale (Tabella 1). La velocità del cammino è misurata tipicamente con il test del cammino dei 6 minuti ( 6-minute walking test, 6MWT). Il 6MWT è facile da somministrare, meglio tollerato e riflette di più l’attività quotidiana rispetto agli altri test, permette una valutazione funzionale integrata di tutti i sistemi coinvolti durante l’esercizio – cardiopolmonare, respiratorio, circolatorio, unità neuromuscolare e metabolismo muscolare21,22 –, fornendo un quadro d’insieme senza però dare informazioni sui singoli sistemi, poiché il parametro finale di valutazione è la distanza in metri percorsa dal paziente: quanto maggiore è la distanza tanto maggiore è la capacità funzionale di quel paziente. Le informazioni derivate dal 6MWT sono quindi da considerarsi complementari a quelle fornite dal test da sforzo cardiopolmonare. A differenza di quest’ultimo, il 6MWT è basato sulla modalità self-paced: il paziente sceglie cioè la sua intensità di sforzo (potendo rallentare o fermarsi), fornendo quindi un risultato di sforzo submassimale. Tuttavia, poiché la maggior parte delle attività quotidiane sono svolte ad un livello di esercizio submassimale, il 6MWT riflette il reale stato funzionale per la vita quotidiana21,22.



Il test del cammino è così semplice, riproducibile ed attendibile che la sua performance, in studi comparativi, è risultata nettamente superiore a qualsiasi altra misura di fragilità considerata. Per esempio, in uno studio condotto su 309 pazienti anziani in terapia intensiva coronarica, la capacità predittiva della velocità del cammino ha superato quella dell’indice di fragilità del Cardiovascular Health Study, della scala di fragilità di Rockwood, dell’handgrip e del test dell’equilibrio 11. Quindi, il 6MWT sembra mantenere tutta la sua capacità predittiva anche in pazienti ospedalizzati, e persino in soggetti con deterioramento cognitivo23.
La relazione tra velocità del cammino e sopravvivenza sembra essere di tipo continuo, almeno tra persone ultra70enni che vivono in comunità20. Pur tuttavia, alcuni autori ne hanno suggerito dei cut-off. In particolare, una velocità >1.0 m/s suggerirebbe una condizione di invecchiamento in salute mentre ad una velocità del cammino <0.6 m/s aumentano molto la probabilità che siano presenti condizioni di salute instabili e ridotta autonomia24. Altri autori hanno suggerito un cut-off a 0.8 m/s25. Come è possibile, però, immaginare un utilizzo della velocità del cammino nella valutazione clinica? Da un lato, i soggetti con velocità >1.0 m/s sarebbero da considerare con un’aspettativa di vita superiore alla media mentre quelli con una velocità del cammino >1.2 m/s godrebbero di un’aspettativa di vita potenzialmente eccezionale. In questi casi, non sarebbero richiesti approfondimenti diagnostici particolari né valutazioni diverse rispetto alla persona giovane-adulta. All’altro spettro, ci sono i soggetti con una velocità del cammino <0.6 m/s, che corrisponderebbe a una condizione di fragilità avanzata con possibile ridotta autonomia. A questo livello di performance, i rischi delle procedure interventistiche o chirurgiche, ma anche di certi protocolli farmacologici, potrebbero divenire superiori ai potenziali benefici. I soggetti con velocità del cammino compresa tra 0.8 e 0.6 m/s dovrebbero essere meglio valutati e sottoposti ad una valutazione specialistica che esplori le funzioni cardiopolmonari e neurologiche e l’apparato muscolo-scheletrico. Una considerazione a parte sembrano richiedere i soggetti con una velocità del cammino appena subottimale, quelli con valori compresi tra 1.0 e 0.8 m/s. In questo gruppo sono inclusi pazienti con profilo di rischio basso e buona aspettativa di vita per cui è necessario solo un approfondimento volto all’individuazione di possibili fattori di rischio rimuovibili, alla diagnosi precoce e all’istituzione di misure preventive.
QUANDO MISURARE LA FRAGILITÀ
Dal momento che la fragilità è una sindrome di ridotta resistenza a fattori di stress, è particolarmente adatta a predire la risposta del paziente anziano allo stress cardiovascolare. Una delle applicazioni cliniche più promettenti consiste nell’integrare la valutazione della fragilità nella predizione del rischio di morbosità e mortalità associati con l’esecuzione di procedure invasive cardiovascolari.
Interventi di cardiochirurgia maggiore
Uno dei temi più significativi oggi in ambito cardiologico e geriatrico è rappresentato dall’impegnativa e difficile scelta sul sottoporre o meno ad interventi di cardiochirurgia i soggetti anziani. Tutto ciò, in un tempo in cui il rapido aumento del numero di anziani e dell’aspettativa di vita si accompagnano ad un’aumentata richiesta di cardiochirurgia in questi pazienti.
Per questi interventi nei pazienti anziani, infatti, gli attuali modelli di previsione del rischio hanno una performance scarsa e inaccurata, tendendo generalmente a sovrastimare sistematicamente il rischio26. Tuttavia, la percezione che questi pazienti abbiano una minore riserva funzionale ed il fatto che presentino comorbosità, ha reso cardiologi e cardiochirurghi spesso esitanti nel proporre ai soggetti anziani interventi di cardiochirurgia. Diversi studi hanno, però, dimostrato che precludere al soggetto anziano l’intervento cardiochirurgico solo in relazione al criterio dell’età anagrafica non sia giustificato; in effetti, gli anziani ottengono benefici non inferiori rispetto ai soggetti più giovani in termini di sintomi, funzione e qualità della vita. C’è peraltro da tenere in considerazione che il miglioramento complessivo dei risultati per i soggetti anziani è, verosimilmente, da attribuire ad una migliore selezione dei soggetti da sottoporre a chirurgia. Questa selezione non può non prescindere da un’attenta valutazione della fragilità intrinseca di ciascun individuo.
Nello studio Frailty ABC’S (Frailty Assessment Before Cardiac Surgery), il 46% dei pazienti con 70 anni o più sottoposti a intervento di bypass coronarico e/o chirurgia valvolare è risultato fragile sulla base del test del cammino27. Sorprendentemente, la velocità del cammino non era correlata con l’età, la frazione di eiezione del ventricolo sinistro, e neppure con punteggi di rischio cardiochirurgici, suggerendo che la fragilità esplora e riflette un dominio funzionale diverso e unico (Figura 1). Anche tenendo in considerazione lo score di rischio della Society of Thoracic Surgeons (STS), una ridotta velocità del cammino si associava in maniera indipendente con un aumento di 3 volte della mortalità postoperatoria o di morbosità maggiore (OR 3.0, IC 95% 1.2-7.5; n=131). Una ridotta velocità del cammino si associava anche con una degenza ospedaliera più lunga e con una maggiore necessità di dimissione in strutture di post-acuzie.



In uno studio prospettico multicentrico condotto negli Stati Uniti ed in Canada su soggetti ultra70enni, gli autori sono andati a valutare il valore predittivo di alcune scale di fragilità, la versione a 5 item della scala del Cardiovascular Health Study, quella a 7 item, la MacArthur Study of Successful Aging (MSSA) frailty scale ed il test del cammino28. Con tutti gli strumenti utilizzati, i punteggi medi di fragilità erano maggiori nel gruppo di pazienti che aveva una maggiore morbosità o mortalità dopo chirurgia. Tuttavia, solo il test del cammino è risultato statisticamente significativo. Una bassa velocità del cammino era associata ad un aumento di mortalità e morbosità (OR 2.6, IC 95% 1.2- 5.9) ed aveva dimostrato un maggiore potere predittivo (AUC=0.64, AIC=154.1) rispetto alle altre misure di fragilità.
Uno studio dell’Heart Center Leipzig ha incluso pazienti di età ≥74 anni sottoposti a chirurgia cardiaca29. Qui, la definizione di fragilità si è basata su un punteggio composito (intervallo di 1-35) utilizzando una versione modificata dell’indice del Cardiovascular Health Study, una misura delle attività strumentali della vita quotidiana, un test dell’equilibrio, alcuni test di laboratorio e di funzionalità polmonare. Il rischio di mortalità postoperatoria è risultato maggiore nei pazienti con più alti punteggi indicativi di fragilità.
Cacciatore et al.30 hanno arruolato 882 pazienti (451 di età <65 anni e 432 di età ≥65 anni) che avevano superato un intervento di bypass aortocoronarico e che entravano in un protocollo standardizzato di riabilitazione cardiopolmonare. Scopo dello studio è stato quello di comparare il valore prognostico della frazione di eiezione con quello del test del cammino realizzato con il 6MWT. I risultati hanno dimostrato che, globalmente, una frazione di eiezione ≥50% e una maggiore distanza percorsa al test del cammino (≥300 m) risultavano associate ad una prognosi migliore. In analisi di sottogruppo, il 6MWT prediceva la mortalità tra i pazienti anziani, e non nei soggetti più giovani.
In conclusione, appare evidente come la scelta se sottoporre o meno ad interventi cardiochirurgici i soggetti anziani debba necessariamente passare da un’attenta valutazione della fragilità individuale, e come uno strumento rapido e di semplice somministrazione come il 6MWT, sia in grado di fornire informazioni cruciali ad una valida stratificazione del rischio (Figura 2).



Impianto transcatetere di valvola aortica
La stenosi aortica rappresenta la patologia valvolare più comune tra i pazienti anziani. La procedura chirurgica di sostituzione valvolare rappresenta il gold standard per i soggetti che presentano importante sintomatologia. Come nei casi di cardiochirurgia maggiore, la mortalità postoperatoria risulta bassa in anziani correttamente selezionati, ma tende ad aumentare con il numero e la gravità delle comorbosità. Una survey condotta su pazienti ospedalizzati ha rivelato come vi sia una ridotta indicazione alla chirurgia in soggetti anziani, anche per quelli con sintomi severi31.
L’impianto transcatetere di valvola aortica è una tecnica sviluppata circa 10 anni fa per garantire un’adeguata alternativa alla chirurgia in soggetti ad alto rischio operatorio e, comunque, in grado di ridurre la mortalità rispetto alla sola terapia medica. Gli score di rischio globale in uso corrente, quali l’STS e l’EuroSCORE, non sembrano essere adeguati nella valutazione preoperatoria degli anziani con stenosi aortica32-35. Questo, per almeno tre motivi principali: a) questi score sono stati sviluppati per pazienti molto più giovani, candidati a cardiochirurgia maggiore; b) una valutazione organo-specifica è poco presente; c) le specifiche condizioni geriatriche non vengano affatto valutate.
In un recente studio condotto in Svizzera, gli autori hanno esaminato la capacità di alcuni strumenti di valutazione del rischio di predire la mortalità e l’incidenza di eventi cardiovascolari e cerebrovascolari in 100 soggetti (età media 84 ± 5 anni) sottoposti ad impianto transcatetere di valvola aortica36. Sono stati considerati i due score di rischio più comunemente utilizzati in cardiochirurgia (EuroSCORE, STS) oltre ad alcuni indicatori derivati dalla valutazione multidimensionale geriatrica che includevano il Mini Mental State Examination, il Mini Nutritional Assessment, le scale ADL e IADL, unitamente al test di performance denominato “Timed get Up and Go” che valorizza la velocità del cammino. Mentre l’STS predice mortalità ed eventi sia a 30 giorni che ad 1 anno, l’EuroSCORE non ha alcuna capacità predittiva. Invece, tutti i parametri della valutazione multidimensionale geriatrica, ad eccezione delle IADL, mostrano una forte associazione con gli eventi, sia precoci che tardivi, e il test singolo con la maggiore capacità discriminativa è il Timed get Up and Go. Questo studio, poi, sembra confermare che il test di performance fisica mantiene intatto il suo valore predittivo in maniera indipendente ed additiva rispetto ai tradizionali score di rischio.
In linea con questi risultati, il VARC-2 (The Valve Academic Research Consortium-2) ha ribadito come sia fondamentale eseguire una stratificazione del rischio per individuare i candidati appropriati ad uno specifico tipo di trattamento, evidenziando, però, come i classici strumenti utilizzati (EuroSCORE e STS) manchino di alcuni aspetti fondamentali, ed indicando come obbligatoria una valutazione della fragilità37. Alla luce di questi dati, il VARC-2 ha raccomandato che per la corretta valutazione del paziente deve essere prevista la creazione di un team multidisciplinare che includa anche i geriatri. Inoltre, la velocità del cammino, assieme alla misurazione della forza muscolare, viene indicata come il parametro più oggettivo di valutazione dello stato funzionale globale e della fragilità.
Scompenso cardiaco
I pazienti con scompenso cardiaco hanno una ridotta capacità all’esercizio fisico e ciò influisce negativamente sullo svolgimento delle attività di vita quotidiana, innescando un circolo vizioso che conduce al decondizionamento, elemento caratterizzante la fragilità clinica. Tutti gli studi condotti in questi pazienti hanno evidenziato come il 6MWT sia uno strumento a basso costo, ad elevata riproducibilità, e ad affidabilità maggiore rispetto ai questionari sulla qualità di vita, e in grado di riprodurre con maggiore accuratezza, rispetto a quelli convenzionali, il tipo e il grado di attività fisica svolta nella vita quotidiana 38.
In clinica, la tolleranza all’esercizio fisico viene convenzionalmente misurata in maniera non invasiva con la quantificazione della soglia anerobica tramite l’identificazione del VO2max (massimo consumo di ossigeno raggiunto durante esercizio fisico affaticante) e del VCO2/VO2 (quoziente respiratorio). Recentemente, è stata pubblicata una revisione sistematica di 14 studi che investigavano la possibilità di utilizzare la velocità del cammino con il 6MWT come misura alternativa per stratificare a fini prognostici la performance fisica dei pazienti con scompenso cardiaco cronico39. Il 6MWT si dimostra capace di predire accuratamente il VO2max (83-91%) in pazienti che percorrono una distanza <450-490 m ed è una sicura e valida alternativa, specie nei pazienti con una distanza percorsa <300 m. Il 6MWT, invece, sembra correlare meno bene nei pazienti con un VO2max alto, perché il test è limitato dal tempo e non dalla comparsa di sintomi. Pur tuttavia, in genere questi sono studi con una numerosità limitata, che hanno arruolato pazienti con scompenso cardiaco di eziologia diversa, a differenti stadi di gravità e studiati con protocolli non standardizzati.
Recentemente, sono stati pubblicati i risultati di una analisi secondaria dello studio HF-ACTION su pazienti con scompenso cardiaco sistolico (frazione di eiezione ≤35%) in cui venivano misurati sia la mortalità da tutte le cause che un outcome combinato di ospedalizzazione e mortalità40. I 2054 partecipanti (età media 60 anni) erano in condizioni cliniche stabili (classe NYHA II 64% e classe NYHA III-IV 36%) ed in trattamento farmacologico ottimale. Tutti i pazienti hanno eseguito, al momento dell’arruolamento, sia un test ergometrico cardiopolmonare che il 6MWT. La distanza media percorsa al 6MWT è risultata di 372 m, ma il range era particolarmente ampio (50-660 m) con una pressoché perfetta simmetrica distribuzione. In questa coorte di pazienti numerosa ed omogenea, il 6MWT ha dimostrato una capacità predittiva superiore, o almeno uguale, a quella del test cardiopolmonare. Mentre gli studi precedenti tendevano a suggerire un migliore potere discriminante del test del cammino nei soggetti con bassa performance (ridotta distanza percorsa), lo studio di Forman et al. 40 dimostra che il 6MWT mantiene intatto il suo potere discriminante in un range molto ampio di performance fisico-funzionali.
Nel loro insieme, le evidenze attualmente disponibili sembrano suggerire in maniera molto convincente che la velocità del cammino, specie con il 6MWT, può sostituire il test di funzionalità cardiopolmonare in pazienti anziani con scompenso cardiaco, sia sistolico che diastolico, e fornire un’attendibile valutazione prognostica. Inoltre, i dati suggeriscono ancora una volta come il 6MWT sia un parametro in grado di esplorare un dominio funzionale proprio, che esula da quelli quantificati attraverso le scale di valutazione tradizionale.
Cardiopatia ischemica cronica
Per i pazienti con cardiopatia ischemica cronica i modelli prognostici basati sui tradizionali fattori di rischio cardiovascolare spiegano solo parzialmente la probabilità di sviluppare eventi cardiovascolari. Allo scopo di formulare una stima più accurata, per questi pazienti si è usi indicare l’esecuzione di un test ergometrico, spesso in associazione ad uno studio di imaging funzionale. Il 6MWT è stato formalmente studiato nella valutazione funzionale di pazienti con cardiopatia ischemica cronica solo recentemente. Beatty et al. 41 hanno studiato 556 pazienti anziani ambulatoriali inclusi nello Heart and Soul Study durante un periodo di 8 anni di follow-up. I pazienti completavano il 6MWT con un range di distanza percorsa compresa tra 87 e 837 m. Coloro che erano nel quartile più basso di distanza percorsa (87-419 m) avevano una probabilità 4 volte aumentata di eventi cardiovascolari, rispetto a quelli nel quartile più alto (544-837 m). Anche quando aggiustato per i tradizionali fattori di rischio e per misure oggettive di funzionalità cardiovascolare (frazione di eiezione, ischemia inducibile, pro-peptide natriuretico cerebrale, proteina C-reattiva), ogni deviazione standard in meno nella distanza percorsa era associata ad un aumento del rischio di eventi pari al 30%. Il potere discriminativo del 6MWT risultava pari a quello del test ergometrico.
Questo studio estende per la prima volta il valore della determinazione della velocità del cammino alla molto più vasta popolazione di anziani con cardiopatia ischemica cronica. Non solo pare esservi una correlazione inversa tra distanza percorsa e incidenza di infarto miocardico e mortalità, in maniera indipendente dalla presenza dei tradizionali fattori di rischio cardiovascolari e/o altri marker di severità della patologia cardiaca, ma il 6MWT si propone come una sicura alternativa al test ergometrico 41.
Ipertensione arteriosa
Nell’ambito delle malattie cardiovascolari, l’ipertensione arteriosa risulta quella a maggiore prevalenza tra gli anziani (58% tra le donne e 53% tra gli uomini ≥65 anni negli Stati Uniti), per i quali il reale beneficio di un trattamento farmacologico è ad oggi parecchio dibattuto42. Infatti, se da un lato il tanto atteso Hypertension in the Very Elderly Trial ha dimostrato che il trattamento farmacologico della pressione arteriosa in pazienti anziani riduce il rischio di alcuni importanti outcome quali la mortalità per tutte le cause, la mortalità per ictus e lo sviluppo di scompenso cardiaco, numerosi studi osservazionali condotti su popolazioni “reali” di anziani hanno mostrato una correlazione inversa tra i valori di pressione arteriosa e gli outcome negativi di volta in volta considerati 43-45.
Odden et al.46 hanno recentemente dimostrato che tra i 2340 individui con età ≥65 anni, arruolati nella National Health and Nutrition Examination Survey, l’associazione tra i valori di pressione arteriosa e la mortalità erano funzione del livello di performance fisica. Infatti, il riscontro di elevati valori di pressione sistolica risultavano correlati al tasso di mortalità esclusivamente tra i partecipanti che presentavano la più alta performance fisica (hazard ratio 1.4, IC 95% 1.1-1.8), misurata ancora una volta mediante test del cammino. Questa correlazione era indipendente da possibili fattori confondenti quali l’età, lo stato di salute, lo stile di vita e l’utilizzo di farmaci antipertensivi. Al contrario, nessuna correlazione era evidente né per la pressione sistolica né per quella diastolica in soggetti con ridotta performance fisica. Infine, in quei soggetti non in grado di portare a termine la prova del cammino, valori più alti di pressione arteriosa, sia sistolica che diastolica, risultavano addirittura protettivi essendo inversamente associati alla mortalità (hazard ratio 0.4, IC 95% 0.2-0.6) 46.
Sulla scorta di questi dati iniziali, la misurazione della fragilità effettuata mediante test del cammino fornirebbe un indice di compromissione funzionale globale spendibile nella determinazione dell’appropriatezza del trattamento farmacologico di pazienti anziani affetti da ipertensione arteriosa.
DIREZIONI FUTURE
Con il consolidarsi delle evidenze sul valore prognostico della fragilità nei pazienti anziani con malattia cardiovascolare, gli sforzi attuali sono diretti a incorporare la misura della fragilità in modelli predittivi di rischio, esistenti e nuovi. Fino a quando questi modelli non saranno validati, è immaginabile che la misura della fragilità debba essere presa in considerazione in pazienti selezionati. La velocità del cammino è un indicatore semplice ed efficace per misurare oggettivamente la fragilità nei pazienti con malattie cardiovascolari e un test di performance come il 6MWT dovrebbe essere regolarmente utilizzato sia nella valutazione del rischio sia come indicatore prognostico.
Le strategie terapeutiche possono essere distinte tra quelle capaci di prevenire o annullare la comparsa della fragilità, e quelle che tendono a ridurre gli esiti avversi nei pazienti fragili. Gli interventi che possono essere utili in una fase preventiva includono l’attività fisica regolare e una nutrizione equilibrata. Il valore della terapia farmacologica, invece, resta da confermare. Gli interventi che possono prevenire esiti avversi negli anziani fragili includono fondamentalmente la valutazione geriatrica multidimensionale per ottimizzare le condizioni di comorborsità e per promuovere il riconoscimento precoce di complicanze.
RIASSUNTO
La fragilità è una sindrome geriatrica di ridotta resistenza a fattori di stress a causa di una diminuzione della riserva fisiologica. Fragilità e malattie cardiovascolari condividono un comune pathway biologico, e le malattie cardiovascolari possono accelerare la comparsa della fragilità. La sindrome della fragilità è identificata nel 25-​​50% dei pazienti con malattie cardiovascolari, a seconda della scala di valutazione utilizzata e della popolazione studiata. Pazienti fragili con malattie cardiovascolari, in particolare quelli sottoposti a procedure invasive o affetti da malattia coronarica e scompenso cardiaco, hanno una probabilità molto più alta, rispetto ai soggetti non fragili, di sviluppare eventi avversi e complicanze. La velocità del cammino è un indicatore semplice ed efficace per misurare oggettivamente la fragilità nei pazienti anziani con le malattie cardiovascolari, e un test di performance come il quello del cammino dei 6 minuti dovrebbe essere regolarmente utilizzato sia nella valutazione del rischio che come indicatore prognostico.
Parole chiave. Cardiochirurgia; Fragilità; Invecchiamento; Malattie cardiovascolari; Valutazione geriatrica multidimensionale; Velocità del cammino.
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