Il documento su stent coronarico e chirurgia:
un “bridge” necessario tra cardiologi e chirurghi
Francesco Saia
Istituto di Cardiologia, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna

“Or tu a Cariddi
Non t’accostar, mentre il mar negro inghiotte:
Chè mal sapria dalla ruina estrema
Nettuno stesso dilivrarti. A Scilla
Tienti vicino, e rapido trascorri.
Perder sei de’ compagni entro la nave
Torna più assai, che perir tutti a un tempo.”
Omero, Odissea, libro XII
PROLOGO: TRE SCENARI
Scenario 1
“Buongiorno Signor X, la chiamo dalla Cardiochirurgia per il suo ricovero. L’intervento è previsto mercoledì mattina per cui il ricovero sarà lunedì [...]. Ah, mi raccomando di sospendere l’aspirina da sabato.”
Sospendere l’aspirina da sabato. Cinque giorni prima dell’intervento. Una frase standard pronunciata a memoria, come un salmo, come l’incipit di una telefonata pubblicitaria. Peccato che il paziente avesse ricevuto 2 mesi prima uno stent coronarico (fortunatamente non medicato) per una sindrome coronarica acuta e presentasse una malattia aterosclerotica di altri rami coronarici ...
Scenario 2
“Buongiorno Signor Y. Allora, come sta?” “Buongiorno dottore. Sto davvero bene, grazie. Dopo aver messo gli stent non ho più avuto quelle strette al cuore che avevo prima. Certo le medicine sono tante; infatti le volevo chiedere se le devo continuare tutte.” “Alcune le dovrà continuare sempre [...], altre più avanti le possiamo interrompere [...] quindi per ora è molto importante che lei prosegua il trattamento prescritto.” “Quindi devo riprendere anche il Plavix? No perché io l’ho sospeso da un mese.” “Come l’ha sospeso da un mese? Sta scherzando?” “Sì dottore, ho dovuto togliere un dente e il dentista mi ha fatto sospendere aspirina e Plavix per qualche giorno. Poi ho ripreso entrambi ma siccome mi sanguinavano le gengive mi è stato detto di sospendere ancora un po’ il Plavix e, siccome stavo bene, non l’ho più ripreso.”
Il Signor Y è stato fortunato, molto fortunato a non sviluppare una trombosi di stent. Aveva ricevuto 4 mesi prima un’angioplastica con stent medicati dei tre principali rami coronarici.
Scenario 3
“Dottore, ho un anestesista al telefono che deve parlarle di un paziente.” “Buongiorno collega, dimmi.” “Ciao, ho qui la Signora Z che deve fare una resezione intestinale per un carcinoma la prossima settimana. Qualche mese fa ha messo degli stent coronarici e il consulente cardiologo scrive che può sospendere il Plavix ma deve fare l’intervento continuando l’aspirina. Il chirurgo però non ne vuole sapere, dice che poi sanguina troppo. Mi hanno detto di parlare con voi dell’Emodinamica.” “Se vuoi posso riguardare il caso e vedere che stent ha ma, in ogni caso, almeno l’aspirina va continuata. [...] No, senti, la signora ha uno stent medicato nel tronco comune e, a mio avviso, dovrebbe continuare anche il Plavix.” “Sì, ma la scintigrafia miocardica fatta in previsione dell’intervento è negativa!” “A parte il fatto che in questi casi la scintigrafia era poco indicata perché poco predittiva, il problema qui è che la paziente ha uno stent medicato impiantato da meno di 6 mesi.” “Ho capito, ma il chirurgo così non la opera.” “Ma come, scusa, qual è il rischio emorragico dell’intervento?” “Non credo molto alto ma non lo so con precisione. Vabbè senti, ti faccio parlare col chirurgo.” [...]
IL DOCUMENTO DI CONSENSO SU STENT CORONARICO E CHIRURGIA
Il lettore che nella sua carriera professionale non si sia mai trovato in prima persona o indirettamente coinvolto in uno degli scenari sopradescritti, pur riconoscendo facilmente le qualità scientifiche del Documento di Consenso su stent coronarico e chirurgia pubblicato su questo numero del Giornale Italiano di Cardiologia1, potrebbe non coglierne appieno l’effetto dirompente sulla pratica clinica. Per tutti gli altri non sono necessarie altre parole introduttive: l’articolo tratta un aspetto della nostra pratica clinica quotidiana molto problematico, a volte negletto, spesso dibattuto e mai completamente risolto, anche per la paucità di solide evidenze.
Il più grande merito degli autori è quello di aver saputo mettere idealmente intorno allo stesso tavolo competenze professionali diverse per trovare un consenso sulla gestione perioperatoria della terapia antiaggregante che riempisse di maggiori contenuti la generica, seppur condivisibile, indicazione delle linee guida ad effettuare una “valutazione caso per caso”. In questo senso si è centrato immediatamente un duplice obiettivo:
1. fornire un documento difficilmente attaccabile, in quanto non di parte, essendo stato stilato dalle sezioni lombarde della Società Italiana di Cardiologia Invasiva (GISE) e dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e sottoscritto dalle stesse società nazionali e da ben 15 Società Chirurgiche o Medico/Odontoiatriche con subspecialità invasive;
2. offrire indicazioni molto precise in grado di dare risposte semplici e pratiche nella maggior parte delle situazioni cliniche.
In sintesi, un Documento di Consenso intersocietario e multidisciplinare che “cambierà la vita” del consulente cardiologo.
Entrando nel merito del documento, vi è un sostanziale passo in avanti nel riconoscimento dell’elevato rischio ischemico perioperatorio nei pazienti portatori di stent coronarico e della conseguente necessità di mantenere elevato il livello di protezione con gli antiaggreganti piastrinici: uno shift di attenzione dal rischio emorragico a quello ischemico. Paradossalmente, l’inverso di quello che sta accadendo in Cardiologia negli ultimi anni, dove si registra invece il trend opposto. Il trait d’union tra le due tendenze è rappresentato dalla necessità di bilanciare sempre i due aspetti: navigare tra Scilla e Cariddi, senza accostarsi troppo all’uno né all’altro mostro, pur consci che può esservi un piccolo prezzo da pagare (Perder sei de’ compagni entro la nave torna più assai, che perir tutti a un tempo).
Benissimo hanno fatto gli autori a ricordare che il rischio perioperatorio connesso alla sospensione della terapia antiaggregante nel paziente con cardiopatia ischemica non è affatto circoscritto al paziente portatore di stent, essendo condizionato da molti fattori come l’effetto rebound di iperaggregabilità piastrinica successivo alla sospensione dell’aspirina e dallo stato di ipercoagulabilità perioperatorio associato ed in parte condizionato dal rilascio di mediatori pro-infiammatori o dalla condizione clinica basale del paziente. Opportuno appare anche il richiamo al fatto che la somministrazione di eparina o enoxaparina a dose piena non sia protettiva nei confronti di eventi ischemici in assenza di idonea terapia antiaggregante, mentre è certo un aumento del rischio emorragico.
Alcune note di cautela sembrano tuttavia necessarie. La terapia antiaggregante raccomandata in alcune situazioni (poche per la verità), seppure ben argomentata dagli autori, appare abbastanza “aggressiva”, soprattutto in relazione alla pratica clinica attuale; questo potrebbe creare qualche problema di applicabilità. Ad esempio, la terapia “bridge” con inibitori reversibili della glicoproteina IIb/IIIa viene raccomandata nella fase perioperatoria di alcuni interventi (si vedano ad esempio le tabelle dell’Endoscopia Digestiva e della Chirurgia Toracica) in pazienti con rischio trombotico intermedio e rischio emorragico intermedio o addirittura alto. Considerando le poche evidenze a disposizione su questa strategia terapeutica 2-4, tali raccomandazioni richiedono un forte passaggio culturale che non può non essere accompagnato da ulteriori valutazioni cliniche rigorose. Che la strada imboccata sia quella giusta è confermato dalla direzione in cui si muove la ricerca più recente, come nel caso dello studio BRIDGE, che ha documentato l’efficacia (in termini di mantenimento dei livelli di inibizione piastrinica) e la relativa sicurezza della somministrazione endovenosa del cangrelor in pazienti in terapia con tienopiridine per sindrome coronarica acuta o per un recente impianto di stent avviati a chirurgia cardiaca 5. Va riconosciuto a Roberta Rossini e agli altri autori del documento il merito di essersi fatti promotori di questo sforzo culturale, anche se la strada appare ancora tutta in salita. A riprova di ciò, un recente studio condotto in Spagna ha documentato che il 90% degli anestesisti conosce la differenza tra stent medicati e non medicati, ma pochi sono in grado di definire la durata della duplice terapia antiaggregante e, soprattutto, il rischio di trombosi di stent e le conseguenze cliniche ad essa correlate 6. La situazione non è molto diversa tra i dentisti7, che spesso richiedono la sospensione della terapia antiaggregante per cure odontoiatriche anche a fronte di un basso rischio emorragico, senza operare opportune distinzioni tra anticoagulanti ed antiaggreganti. In questo documento, laddove non sia possibile posporre la procedura odontoiatrica, viene raccomandato di proseguire sempre il doppio antiaggregante, anche nei pazienti con basso rischio trombotico: quasi una rivoluzione.
Se la prosecuzione della terapia antiaggregante perioperatoria sarà effettuata come indicato dal documento, occorrerà maggiore collaborazione tra professionisti nelle decisioni terapeutiche conseguenti al verificarsi di eventuali sanguinamenti, ad esempio limitando il numero delle trasfusioni (fattore di rischio ischemico) e considerando l’interruzione della terapia antitrombotica solo quando strettamente necessario. Infine, gli autori menzionano fattori clinici (sindrome coronarica acuta, frazione di eiezione ridotta, insufficienza renale cronica, diabete mellito) associati ad aumento del rischio di trombosi di stent. Purtroppo alcuni di essi sono anche fattori di aumentato rischio emorragico. L’integrazione di questi fattori nell’algoritmo proposto dal Documento di Consenso resta quindi di pertinenza dei professionisti coinvolti nella gestione del singolo caso.
EPILOGO?
Il rapporto tra cardiopatia ischemica e chirurgia è sempre stato conflittuale, essendo ognuna foriera di sventure per l’altra. La stratificazione del rischio cardiologico perioperatorio e le misure terapeutiche conseguenti sono oggetto di numerose linee guida basate principalmente sul consenso di esperti e implementate nella pratica clinica in modo ancora molto disomogeneo. La diffusione delle procedure di cardiologia interventistica, e quindi degli stent coronarici, ha acuito il problema. La gestione della terapia antiaggregante piastrinica nella fase perioperatoria è un elemento critico che si scontra in modo drammatico con la percezione dell’aumentato rischio di sanguinamento ad essa associata, non sempre a ragione. Il Documento di Consenso su stent e chirurgia pubblicato in questo numero del Giornale rappresenta un vademecum di eccezionale importanza e praticità per il consulente cardiologo. Di più, esso rappresenta una svolta culturale legata al confronto costruttivo tra diversi professionisti della sanità. Il compito di proseguire in questa direzione, promuovendo iniziative di implementazione delle raccomandazioni a livello locale, è demandato ad ognuno di noi.
bibliografia
1. Rossini R, Bramucci E, Castiglioni B, et al.; a nome della Società Italiana di Cardiologia Invasiva (GISE) e dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO). Stent coronarico e chirurgia: la gestione perioperatoria della terapia antiaggregante nel paziente portatore di stent coronarico candidato a intervento chirurgico. G Ital Cardiol 2012;13:537-60.
2. Savonitto S, D’Urbano M, Caracciolo M, et al. Urgent surgery in patients with a recently implanted coronary drug-eluting stent: a phase II study of “bridging” antiplatelet therapy with tirofiban during temporary withdrawal of clopidogrel. Br J Anaesth 2010;104: 285-91.
3. Rassi AN, Blackstone E, Militello MA, et al. Safety of “bridging” with eptifibatide for patients with coronary stents before cardiac and non-cardiac surgery. Am J Cardiol 2012 May 14 [Epub ahead of print].
4. Ben Morrison T, Horst BM, Brown MJ, Bell MR, Daniels PR. Bridging with glycoprotein IIb/IIIa inhibitors for periprocedural management of antiplatelet therapy in patients with drug eluting stents. Catheter Cardiovasc Interv 2012;79:575-82.
5. Angiolillo DJ, Firstenberg MS, Price MJ, et al.; BRIDGE Investigators. Bridging antiplatelet therapy with cangrelor in patients undergoing cardiac surgery: a randomized controlled trial. JAMA 2012;307:265-74.
6. Lozano I, Torres F, Bayon J, et al. Knowledge of coronary stents and management of double antiplatelet therapy among anesthesiologists. Int J Cardiol 2010;145:595-6.
7. Lozano I, Martin D, Torres F, et al. Knowledge of coronary stents, thrombosis and dual antiplatelet therapy among Spanish dentists. Rev Esp Cardiol 2009;62:153-7.