XX Fragile: il cuore delle donne
“Quelle come me guardano avanti,
anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro ...”
Alda Merini

Le differenze tra i due sessi vanno ben oltre la “différence” cara ai francesi.
C’è voluto molto tempo prima che la scienza riuscisse a compiere questo, apparentemente piccolo, passo. Ci sono volute molte osservazioni empiriche inspiegate. Perché dopo un ictus dell’emisfero cerebrale sinistro le donne recuperano il linguaggio molto prima degli uomini? Perché la malattia coronarica nelle donne è così diversa sia sul piano clinico che anatomo-patologico? Quali sono le cause della maggior predisposizione alla patologia microvascolare o alla takotsubo? Perché il dolore toracico è meno specifico nel sesso femminile? Perché alcune cardiopatie genetiche hanno una minore penetranza ma una peggiore prognosi nella donna? Cos’è la cardiomiopatia peripartum?
Fortunatamente – e faticosamente – il maschilissimo mondo scientifico ha progressivamente riconosciuto la necessità di aumentare le nostre conoscenze sulle diverse modalità con cui le patologie interessano e si manifestano nei due sessi, e di traslare queste informazioni in trattamenti preventivi e terapeutici differenziati. Se la medicina attuale si muove sempre più verso la biologia molecolare e la genetica, l’antropologia e la farmacogenomica, non sarebbe assurdo “dimenticarsi” della più comune ed eclatante differenza tra individui: quella legata ai cromosomi sessuali? La comprensione delle inferenze genotipiche rappresenta oggi solo uno dei determinanti delle differenze di genere, che comprende anche fattori ormonali, sociologici, culturali ed ambientali.
Le riviste mediche sono sempre più ricche di dichiarazioni di intenti, campagne di sensibilizzazione, iniziative di ricerca e Consensus Statement da parte delle diverse Società Scientifiche. Sono nati gruppi di studio e fondazioni di ricerca sulla cardiopatia delle donne. Nei meeting compaiono sempre più spesso sessioni dedicate a questi aspetti. Almeno in Cardiologia, il bagaglio culturale medio si sta estendendo alla medicina di genere. Restano tuttavia ancora molte zone d’ombra ed ipotesi sperimentali o cliniche che attendono il vaglio di studi specificamente disegnati. L’intero mondo dei trial clinici sembra tuttora poco attento al mondo femminile.
Se da un lato sembra avviata al superamento nel mondo occidentale la cosiddetta “sindrome di Yentl”, frutto di un retaggio culturale che faceva ritenere le donne al riparo dalle malattie cardiovascolari, restano da inquadrare meglio le difformità di presentazione, di reazione soggettiva alla malattia, di risposta alle terapie legate al sesso femminile. In un’ottica di medicina globale, inoltre, la disparità di trattamento e cure tra i due sessi risente in modo drammatico del differente status femminile nelle diverse società. Basta ampliare lievemente la prospettiva per scoprire orizzonti per noi nuovi e inquietanti: solo per fare un esempio, secondo un recente studio condotto in Medio-Oriente, molti uomini non accetterebbero una rianimazione cardiopolmonare delle mogli da parte di uomini di nazionalità diversa in caso di arresto cardiaco. Benvenuta sia allora la “femminilizzazione” delle scienze e della professione medica che, inizialmente temuta (si veda ad esempio la preoccupazione espressa nel 2004 sull’ Independent dal presidente del Royal College of Physicians), si sta invece rivelando una grande ricchezza e probabilmente costituirà l’impulso più forte per superare queste barriere culturali, che spesso nascondono barriere sociali. Sembra invece ancora forte la cosiddetta “segregazione verticale”, cioè la bassa rappresentatività delle donne ai livelli apicali. Un editoriale pubblicato l’8 marzo su Lancet sottolinea che nell’Unione Europea il 59% dei laureati sono donne, ma solo il 18% dei professori ordinari sono di sesso femminile e solo il 9% delle università sono guidate da una donna. Secondo il Times, nelle facoltà mediche britanniche la situazione è analoga: le donne rappresentano il 42% dei laureati in medicina ma solo il 14% dei professori ordinari.
È su queste premesse che poggia la decisione di dedicare un intero fascicolo del Giornale Italiano di Cardiologia alla patologia cardiovascolare della donna. L’intento del Comitato Editoriale è quello di offrire ai lettori una panoramica delle nozioni attuali e delle principali ipotesi sulle quali si sta muovendo la ricerca scientifica. È stata invece volutamente omessa la trattazione sistematica della gestione delle cardiopatie in gravidanza, a ragione della recentissima pubblicazione delle prime linee guida dedicate all’argomento da parte della Società Europea di Cardiologia.
Nella realizzazione del fascicolo, ci siamo concessi il piacere di affidare la stesura di tutti gli articoli ad autrici donna. L’autorevolezza scientifica e la fama nazionale ed internazionale delle persone che hanno contribuito a questo progetto è sufficiente di per sé a spiegarne le ragioni.
Nel fascicolo che proponiamo, la cardiopatia ischemica occupa una parte preponderante, motivata dall’epidemiologia e dalle maggiori conoscenze disponibili. Non abbiamo però trascurato altri aspetti epidemiologicamente meno rilevanti ma non per questo meno importanti della Cardiologia.
Il fascicolo si apre con uno splendido editoriale di Viola Vaccarino, cui segue una finestra sulla medicina del futuro, grazie all’articolo sulle basi genetiche della cardiopatia ischemica affidato a Maria Francesca Notarangelo e Piera Angelica Merlini. Gli aspetti fisiopatologici peculiari della donna sono trattati da Felicita Andreotti, mentre il ruolo della menopausa è analizzato in dettaglio da Chiara Leuzzi e Maria Grazia Modena. La sezione dedicata alla terapia vede tre contributi di assoluto rilievo da parte di Rosanna Abbate sul rapporto rischio/beneficio dei farmaci antitrombotici, di Anna Sonia Petronio sui risultati dell’angioplastica coronarica nell’uomo e nella donna, di Lucia Torracca sulle problematiche cardiochirurgiche della donna. Tra le patologie cardiovascolari diverse dalla cardiopatia ischemica, un ruolo rilevante è occupato dalle cardiomiopatie; Elena Biagini et al. rispondono in modo estremamente didattico ed efficace al quesito se esista un “effetto donna” nelle cardiomiopatie. Stefania Rizzo e Cristina Basso offrono una prospettiva anatomo-patologica sulle cause di morte improvvisa nella donna, soprattutto di giovane età, ricca di spunti e di nuove domande. A Maria Grazia Bongiorni è stato affidato il compito di affrancare la patologia aritmica dall’ontologia dei “palpiti del cuore” del gentil sesso. A seguire, un’approfondita disamina della complessa relazione tra ipertensione arteriosa polmonare e sesso femminile, che riflette l’indiscutibile esperienza di Alessandra Manes. Il fascicolo si chiude con una rassegna cardio-oncologica incentrata sulla cardioprotezione nella donna con patologie neoplastiche, a cura di Daniela Cardinale, uno scenario capovolto nel quale i trial clinici vedono per una volta la preponderanza di popolazioni femminili.
“Quelle come me urlano in silenzio, perché la loro voce non si confonda con le lacrime ...” diceva Alda Merini. Forse è ora di alzare un po’ la voce
Buona lettura.

Il Comitato Editoriale
del Giornale Italiano di Cardiologia