corrispondenza

Commento all’articolo ”Nitrati in alta quota,
ovvero l’uso inappropriato di un farmaco”
di Enrico Donegani

All’Editor. Nel numero di dicembre del Giornale, Donegani analizza criticamente l’uso (inappropriato) di nitroglicerina in alta quota1. Donegani, apprezzato divulgatore della Medicina di Montagna, ha il merito di portarla all’attenzione dei Cardiologi italiani.
Il caso riportato è stato oggetto di una nostra pubblicazione nel 20082: un alpinista d’élite, durante l’ascensione del suo quattordicesimo 8000 (senza ossigeno), ha riportato per la prima volta nella sua storia alpinistica sintomi sospetti per edema cerebrale da alta quota, concomitante all’uso (per la prima volta) di nitroglicerina transdermica nell’intento di prevenire congelamenti delle estremità. Donegani condivide la nostra convinzione di relazione causa-effetto fra nitroglicerina e malessere, mentre dissente sull’interpretazione dei sintomi, ipotizzando un’ipotensione arteriosa.
Il sintomo cardine riportato dall’alpinista è stato l’atassia (“si sentiva fiacco e ubriaco”, riporta Donegani dall’intervista, e “gli sembrava di non avere equilibrio”). In letteratura è ben riconosciuto che l’atassia è il primo e più specifico sintomo di edema cerebrale da alta quota3; già nel 1988 Clarke4 affermava che “se il paziente sembra leggermente ubriaco in altitudine, allora ha edema cerebrale da alta quota”. Inoltre l’alpinista lamentava alterazione dello stato di coscienza (“non sapevo più cosa facevo” ha riportato a noi), altro tipico sintomo di edema cerebrale da alta quota.
Naturalmente abbiamo posto un sospetto diagnostico di edema cerebrale da alta quota. Nessun medico ha potuto valutare l’alpinista al momento dei sintomi, che tuttavia sono stati confermati dai compagni di spedizione. Donegani ipotizza una causa differente per i sintomi (ipotensione arteriosa). Tuttavia, come noi, non dispone di riscontri clinici o strumentali che possano escludere l’edema cerebrale da alta quota, né l’ipotizzata ipotensione è stata documentata. Peraltro l’ipotensione non è mai stata proposta come diagnosi differenziale del mal di montagna o dell’edema cerebrale da alta quota (vedi in proposito esauriente rassegna di Hackett e Roach5).
L’edema polmonare da alta quota e l’edema cerebrale da alta quota sono la più frequente causa non traumatica di morte in altitudine; banalizzare sintomi tipici quali atassia e alterazione dello stato di coscienza attribuendoli ad una semplice ipotensione potrebbe esporre al rischio di una mancata diagnosi.
Fortunatamente nella maggior parte dei casi le patologie da alta quota si risolvono senza reliquati scendendo di quota: la mancata progressione dei sintomi verso un quadro irreversibile non esclude la diagnosi (tenendo anche presente che la terapia di prima scelta dell’edema cerebrale da alta quota – cioè la discesa – è stata in realtà “somministrata” in tempo utile nel caso descritto).
Riguardo all’uso di farmaci in alta quota concordiamo con Donegani sulla necessità di studi condotti con metodo scientifico e seguendo le regole di buona pratica clinica. Tuttavia riteniamo che manchino le necessarie basi fisiopatologiche a supporto di qualunque utilità della nitroglicerina in altitudine, mentre rimaniamo convinti di un potenziale rischio associato.
Infine segnaliamo che recenti linee guida pratiche per la prevenzione e il trattamento dei congelamenti non contemplano l’uso di nitroglicerina6.
Giorgio Mazzuero1, Antonio Mazzuero2,
Adolfo Pascariello
3
1Divisione di Cardiologia Riabilitativa,
Fondazione Salvatore Maugeri,
IRCCS, Istituto Scientifico di Veruno (NO)
2Cardiologia-UTIC, Ospedale S. Biagio, Domodossola (VB)
3Servizio di Radiologia, Fondazione Salvatore Maugeri,
IRCCS, Istituto Scientifico di Veruno (NO)
e-mail: giorgio.mazzuero@fsm.it
BIBLIOGRAFIA
1. Donegani E. Nitrati in alta quota, ovvero l’uso inappropriato di un farmaco. G Ital Cardiol 2011;12:824-8.
2. Mazzuero G, Mazzuero A, Pascariello A. Severe acute mountain sickness and suspect high altitude cerebral edema related to nitroglycerin use. High Alt Med Biol 2008;9:241-3.
3. Wu T, Ding S, Liu J, et al. Ataxia: an early indicator in high altitude cerebral edema. High Alt Med Biol 2006;7:275-80.
4. Clarke C. High altitude cerebral oedema. Int J Sports Med 1988; 9:170-4.
5. Hackett PH, Roach RC. High-altitude illness. N Engl J Med 2001; 345:107-14.
6. McIntosh SE, Hamonko M, Freer L, et al.; Wilderness Medical Society. Wilderness Medical Society practice guidelines for the prevention and treatment of frostbite. Wilderness Environ Med 2011; 22:156-66.


Risposta. La disputa fra Giorgio Mazzuero ed il sottoscritto, a proposito del problema accusato dall’alpinista durante la salita al Broad Peak nel luglio 2007, data da molto tempo, precisamente dal 2007, cioè da quando l’alpinista in questione rientrò dalla spedizione alla vetta dell’8000 e, in tempi diversi, riferì e discusse con entrambi del suo problema.
La convinzione diagnostica che ciascuno di noi due si è fatta deriva da dati puramente anamnestici e non su indagini diagnostiche, cioè sul racconto dell’alpinista fatto, come detto, in tempi diversi (alcuni mesi), con parole e descrizioni diverse, sicuramente entrambe le volte in assoluta buona fede.
L’analisi medica di Mazzuero è ben dettagliata nell’articolo citato del 20081, la mia personale convinzione è invece raccontata nel recente articolo del 20112. Non credo che ci sia altro da aggiungere a quanto detto da Mazzuero che, nell’attuale lettera di commento, riprende il suo pensiero già espresso. Da parte mia, non posso che ribadire la mia diagnosi. Non fu atassia il disturbo che l’alpinista accusò nel corso dell’ultimo tratto della sua ascesa alla vetta, in quel caso non avrebbe potuto realmente eseguire i complicati gesti che eseguì, non avrebbe potuto soggiornare alcune ore in cima, non sarebbe stato lucido tanto da poter telefonare al campo base e parlare con il medico di spedizione. Per dirla tutta, probabilmente sarebbe deceduto per edema cerebrale da alta quota. La “guarigione” avvenne non somministrando farmaci (assolutamente necessari in caso di edema cerebrale) o solo con la tardiva discesa di quota, bensì quando, scendendo al campo 3, l’alpinista decise di rimuovere i famosi cerotti. Mi guardo bene dal banalizzare i sintomi riferiti, ma ho la certezza, confermata da altri esperti, che quelli non furono sintomi atassici. Credo altresì che fu una importante ipotensione arteriosa.
Sicuramente entrambi resteremo fedeli al proprio sospetto diagnostico. Coloro i quali hanno la pazienza di leggerci potranno avere la loro idea.
Infine, un breve commento sull’uso del nitrato in alta quota. Ho già ammesso l’uso inappropriato del farmaco nel caso in questione; sono dell’idea, invece, che esistano i presupposti teorici (descritti nel mio citato articolo) per un suo studio scientifico come prevenzione non solo dei congelamenti ma anche di altre forme gravi di mal di montagna. D’altra parte non sono pochi gli alpinisti che ricorrono all’uso dei nitrati transdermici, ma a dosaggio opportuno e a quote molto più basse, in via empirica ma con il buon risultato di evitare di avere “freddo ai piedi”.
Enrico Donegani 
S.C.D.O. di Cardiochirurgia
A.S.O. Maggiore della Carità, Novara
e-mail: donegani@hotmail.com
BIBLIOGRAFIA
1. Mazzuero G, Mazzuero A, Pascariello A. Severe acute mountain sickness and suspect high altitude cerebral edema related to nitroglycerin use. High Alt Med Biol 2008;9:241-3.
2. Donegani E. Nitrati in alta quota, ovvero l’uso inappropriato di un farmaco. G Ital Cardiol 2011;12:824-8.


Un tributo al New England Journal of Medicine

Il New England Journal of Medicine ha compiuto due secoli. Infatti, il primo numero della rivista fu pubblicato nel gennaio 1812, da allora ha descritto l’evoluzione della medicina. Con un impact factor di 53.48 occupa un posto di eccellenza nel panorama medico-editoriale internazionale con l’obiettivo di soddisfare le esigenze della comunità clinica e scientifica.
Da gennaio 2012 ha iniziato il suo terzo secolo di attività, sempre sotto la direzione di Jeffrey Drazen e con Giuseppe Remuzzi di Bergamo nell’Editorial Board.
Io, uno degli oltre 600 000 abbonati nel mondo, lo attendo ogni giovedì notte (soffro di insonnia) per conoscere i nuovi progressi della medicina. L’anonimo editoriale (probabilmente scritto dal Direttore) fra l’altro pone l’accento sulla qualità dei contenuti della rivista che servono a loro volta per migliorare l’assistenza dei pazienti. E se si vuol conoscere la storia della medicina di questi ultimi 200 anni, è disponibile online l’intero archivio del giornale risalente al 1812.



John Collins Warren e James Jackson pubblicarono il primo numero della rivista trimestrale New England Journal of Medicine and Surgery e rami collaterali della scienza medica a Boston nel gennaio 1812. Dopo 16 anni diventò Boston Medical and Surgical Journal e iniziò la pubblicazione settimanale. Fu acquistato per un dollaro nel 1921 dalla Massachusetts Medical Society e nel 1928 fu ribattezzato New England Journal of Medicine.
Per festeggiare il compleanno è stata decisa la pubblicazione di una serie di articoli commemorativi. Il primo, scritto da Nabel e Braunwald, tratta la storia della malattia coronarica e dell’infarto del miocardio. A questo proposito l’editoriale ricorda che nel primo numero del 1812 apparve un articolo di John Warren “Remarks on angina pectoris” dal quale emergono le difficoltà dei medici dell’epoca nel formulare una sua corretta diagnosi e un’adeguata terapia. Nel 2005 su Monaldi Archives for Chest Disease pubblicammo una breve storia di quell’articolo. Per chi fosse interessato a conoscere la storia dell’angina pectoris basta cliccare Monaldi Archives for Chest Disease Cardiac Series 2005;64(1):67-71.
Sabino Scardi 
Scuola di Specializzazione in Cardiologia, Trieste
e-mail: sabino.scardi@libero.it