CARDIOLOGIA RIABILITATIVA E PREVENZIONE SECONDARIA DURANTE LA PANDEMIA COVID-19: STATO DELL’ARTE E PROSPETTIVE

Il distanziamento sociale, lo smart working, il divieto di radunarsi e l’appello a “restare a casa” sono state le componenti “chiave” per contrastare la pandemia COVID-191. Sebbene queste misure siano state necessarie per ridurre la diffusione del COVID-19, la loro attuazione ha reso problematica l’attuazione dei programmi di cardiologia riabilitativa (CR) tradizionale. Nella stragrande maggioranza delle aree colpite, i servizi di CR sono stati interrotti bruscamente o sono stati marcatamente ridotti perché ritenuti non essenziali nell’emergenza pandemica2,3. Per esplorare questo scenario, l’Associazione Italiana di Cardiologia Clinica Preventiva e Riabilitativa (AICPR) ha condotto una survey nazionale su base volontaria, web-based, sull’attività dei centri di CR in Italia durante la pandemia COVID-19. Il tasso di risposta finale è stato soddisfacente, con la raccolta di informazioni da 75 centri, corrispondenti a un terzo della rete nazionale4. La prevalenza delle risposte all’intervista (Nord 52%; Centro 25%; Sud 23%) ha rispettato in percentuale la diversa entità del contagio tra le regioni italiane (le regioni settentrionali sono state drammaticamente colpite rispetto alle regioni centro-meridionali) e la diversa distribuzione delle strutture di CR nel Paese (114 nell’Italia settentrionale, 41 nell’Italia centrale e 66 nell’Italia meridionale4. Il risultato di questa istantanea ha mostrato che solo il 14% delle unità di CR ha proseguito le attività di routine senza subire alcuna riorganizzazione, a fronte del 25% che ha interrotto completamente tutte le attività e il 61% che ha ridotto o rimodellato i programmi. Le unità di CR degenziale che hanno continuato le normali attività, in circa la metà dei casi non hanno modificato la tipologia dei ricoveri: la priorità è stata data ai pazienti post-cardiochirurgia (30%) e ai pazienti dopo sindrome coronarica acuta (SCA) o con insufficienza cardiaca congestizia (circa il 25%). È interessante notare che, in circa il 50% dei casi, le unità di CR degenziale hanno offerto posti letto per ridurre il sovraccarico assistenziale determinato dall’emergenza: il 25% dei letti disponibili in unità di CR sono stati riconvertiti in aree per pazienti COVID-19 che non necessitavano di ventilazione invasiva; il 20% dei letti sono stati assegnati a pazienti non cardiopatici e non COVID.

Il 52% delle unità di CR ha attivato o pianificato programmi dedicati a pazienti COVID-19 dopo la dimissione dalle unità COVID. Solo nel 20% dei casi i Centri intervistati hanno dichiarato di avere programmi riabilitativi dedicati ai pazienti dimessi dalle unità COVID. Tuttavia nei pazienti post-COVID i programmi di riattivazione/riabilitazione sono stati gestiti da fisiatri e pneumologi in circa il 40% dei casi e nel 60% dei casi da un team multidisciplinare che ha coinvolto diverse specialità sanitarie. È impressionante notare inoltre che in circa il 30% dei casi, i centri di CR chiusi (25% dei centri intervistati) o quelli che hanno ridotto o rimodulato i programmi (61% dei centri intervistati) abbiano segnalato la mancanza di un piano strutturato per il riavvio delle attività. Al contrario, il 33% dei centri ha pianificato di riavviare le attività riducendo il carico orario (attività mattutine) o semplicemente limitando l’accesso dei pazienti con malattia cardiovascolare post-acuta (cioè dopo SCA o cardiochirurgia). Considerando la chiusura senza precedenti dei programmi di CR a causa della pandemia, la necessità di modelli di erogazione alternativi che consentano di aumentare l’accesso e la partecipazione non è mai stata più urgente (tele-cardiologia, programmi di CR a domicilio, uso di strumenti sanitari digitali, ecc.)5,6. Ora più che mai la tele-riabilitazione rappresenta una necessità hic et nunc. Tuttavia, i dati della survey hanno mostrato che solo il 50% delle unità di CR con attività ridotte ha attivato attività di telemedicina per l’assistenza ai pazienti a domicilio, poiché solo pochi centri (8%) offrono abitualmente tale attività. Questo dato riflette i gravi problemi legati allo sviluppo della sanità digitale a livello nazionale. D’altra parte, il 42% dei centri di CR intende implementare programmi di tele-assistenza esistenti o attivarne di nuovi e, in questa prospettiva, la pandemia COVID-19 ha davvero rappresentato una grande opportunità per ripensare le attività di CR residenziale a favore anche di programmi domiciliari.

L’altra faccia della luna è rappresentato da una significativa e pericolosa riduzione dei tassi di ospedalizzazione per SCA in diversi centri cardiovascolari nel Nord Italia durante i primi giorni dell’epidemia7,8. Dati recenti suggeriscono un aumento significativo della mortalità durante questo periodo, non completamente spiegato dai soli casi COVID-199. La nostra survey ha mostrato che la rete delle SCA è rimasta invariata solo nel 50% dei centri intervistati. Al contrario, circa il 50% degli ospedali coinvolti nelle reti per l’infarto sono stati rimodulati durante la pandemia COVID-19: l’80% delle unità ospedaliere ha accettato pazienti sia STEMI che SCA-NSTEMI, mentre il 10% delle unità ha ammesso solo pazienti con STEMI. Questi dati hanno sollevato la questione se alcuni pazienti siano deceduti per SCA prima di arrivare in ospedale per mancanza di assistenza sanitaria e/o paura di accedere ai dipartimenti di emergenza ospedalieri durante la pandemia COVID-1910. In buona sostanza le unità di CR potrebbero ricevere a breve un buon numero di pazienti sopravvissuti che hanno posticipato il ricovero in ospedale e/o le procedure d’urgenza o quelle elettive, risultando più compromessi: questo potrà essere il “lavoro sporco” che i centri di CR dovranno svolgere nel prossimo futuro. In questa prospettiva, l’indicazione all’invio a programmi di CR in pazienti con malattie cardiovascolari preesistenti che hanno contratto COVID-19 deve considerarsi prioritaria, principalmente a causa dei possibili esiti a distanza della malattia su diversi indici di funzionalità cardiovascolare e/o polmonare. Inoltre, i pazienti cardiopatici non COVID-19 con evento cardiaco acuto non riferito alla CR nel corso del periodo di pandemia, devono essere identificati e seguiti con particolare attenzione per non privarli di programmi di prevenzione secondaria intensiva e riabilitazione cardiologica prognosticamente vantaggiosi.

RINGRAZIAMENTI

La survey è stata condotta grazie alla collaborazione e alla supervisione dei delegati regionali AICPR: Roberto Caruso (Sicilia), Massimo Cerulli (Emilia-Romagna), Antonio Ghiani (Sardegna), Lorenza Dal Corso (Veneto), Anna Frisinghelli (Lombardia), Cosimo Fulgione (Campania), Rocco La Gioia (Puglia), Loredana Mantini (Abruzzo/Molise/Marche), Roberto Marini (Friuli Venezia Giulia), Bruna Miserrafiti (Calabria), Mansueto Pardini (Toscana/Umbria), Rossella Petacchi (Liguria), Walter Pitscheider (Trentino Alto Adige), Mara Piccoli (Lazio), Franco Tarro Genta (Piemonte/Valle d’Aosta).

Gian Francesco Mureddu1*, Francesco Giallauria2,
Elio Venturini3, Francesco Fattirolli4, Marco Ambrosetti5

1Cardiologia Riabilitativa e Intensità Intermedia, Dipartimento Cardiovascolare, Ospedale San Giovanni-Addolorata, Roma

2Dipartimento di Scienze Mediche e Medicina Traslazionale,
Università “Federico II”, Napoli

3Cardiologia Riabilitativa, Azienda USL Toscana Nord-Ovest, Ospedale Civile di Cecina (LI)

4Dipartimento di Medicina Sperimentale e Clinica, Università
di Firenze, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze

5Dipartimento di Cardiologia Riabilitativa,
Istituti Clinici Scientifici Maugeri IRCCS, Pavia

*e-mail gfmureddu@hsangiovanni.roma.it

BIBLIOGRAFIA

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