IL RUOLO DEL CARDIOCHIRURGO
NEGLI OSPEDALI COVID-19

Ringrazio Bonalumi et al.1 per il position paper della Task Force COVID-SICCH, in quanto costituisce un aiuto per le scelte strategiche e riorganizzative della nostra categoria e allo stesso tempo fornisce spunti per numerose riflessioni circa il ruolo del cardiochirurgo nell’era dell’infezione da SARS-CoV-2.

Vorremmo focalizzare il nostro commento sulla sezione dell’articolo “Supporto al personale medico nella gestione dei pazienti COVID-19”1. La nostra attenzione ricade su tale aspetto anche perché la nostra equipe è attivamente impegnata nell’Unità di Terapia Sub-Intensiva del nuovo ospedale COVID-19 Roma 3 di Casalpalocco.

Riteniamo che all’interno di un ospedale COVID-19, la figura del cardiochirurgo sia in realtà da considerare protagonista e non di supporto. Riducendosi nel corso dell’attuale pandemia il numero assoluto degli interventi cardiaci, è ragionevole pensare che inevitabilmente l’attività globale dei cardiochirurghi subisca una forte flessione. Nonostante la Task Force COVID-SICCH auspichi che nei centri hub ci sia una condivisione dei turni tra le varie equipe cardiochirurgiche, ciò di fatto non è certo che avvenga o comunque che sia sempre attuabile. Ne è esempio l’esperienza del Villa Torri Hospital di Bologna, che fin dall’inizio dell’emergenza COVID-19 ha accolto esclusivamente l’attività cardiochirurgica dell’equipe dell’Ospedale Sant’Orsola-Malpighi senza una turnazione con il gruppo residente.

In tale scenario, la figura del cardiochirurgo può trovare un ruolo alternativo, ma comunque di riferimento in collaborazione con l’anestesista, nella gestione del paziente con SARS-CoV-2 nell’ambito di un reparto di intensità intermedia (cioè nell’Unità di Terapia Sub-Intensiva), dove il paziente con polmonite viene sottoposto a ventilazione non invasiva. Ciò ha valenza soprattutto nei centri totalmente COVID-19, perché qui non è prevista un’equipe cardiochirurgica residente.

I motivi che inducono a ritenere il cardiochirurgo degno di tale considerazione risiedono in alcune sue “skill” professionali: approfondita conoscenza della fisiopatologia respiratoria; esperienza, anche minima, nella gestione della ventilazione meccanica; manualità nel reperimento degli accessi vascolari venosi e arteriosi; capacità nella valutazione ecografica di cuore e polmoni; abitudine alla gestione del paziente infetto. Oltre a ciò è necessario aggiungere che la figura del cardiochirurgo risulta essere in generale estremamente utile all’interno dell’ospedale COVID-19 dedicato. Infatti, egli è già abituato a gestire quelle che sono le complicanze sia secondarie alla terapia dei pazienti COVID-19 che determinate dal quadro sindromico da SARS-CoV-2: drenaggio dello pneumotorace iatrogeno da barotrauma; riconoscimento di alterazioni elettrocardiografiche legate alla terapia antivirale2; gestione dei farmaci anticoagulanti per la profilassi delle complicanze tromboemboliche3; posizionamento e gestione dell’ossigenazione extracorporea a membrana.

In conclusione, il cardiochirurgo, che inevitabilmente nel corso dell’attuale pandemia da SARS-CoV-2 vedrà drasticamente ridotta la sua attività, deve prendere coscienza della propria importanza come figura protagonista all’interno di un ospedale COVID-19, in quanto unico professionista in grado di gestire contemporaneamente entrambi gli aspetti patologici primari dell’infezione da SARS-Cov-2: insufficienza respiratoria e complicanze cardiovascolari. In tal senso, il cardiochirurgo rappresenta il perfetto anello di congiunzione tra l’anestesista intensivista e il medico internista del reparto a bassa intensità. È quindi idealmente auspicabile che il paziente COVID-19 sia trattato da un “COVID Team”, composto da anestesista, infettivologo, cardiochirurgo, cardiologo, pneumologo e nefrologo. Questo perché, come sta emergendo dalle evidenze scientifiche, l’infezione da SARS-CoV-2 sembra essere sempre di più una malattia sistemica.

In relazione a ciò, le esperienze maturate nella gestione dei pazienti affetti da SARS-CoV-2 fanno ipotizzare che, nell’attuazione della “fase 2” del controllo della pandemia, sia utile creare Centri di Cardiochirurgia “hub” per i pazienti COVID-19 positivi. Soprattutto nei casi asintomatici dal punto di vista dell’infezione da SARS-CoV-2 ma che necessitano di intervento cardiochirurgico in emergenza/urgenza, percorsi di protezione per i sanitari già organizzati e l’abitudine alla gestione del paziente COVID-19 rappresenterebbero un’importante risorsa sia per il contenimento del contagio che per ottenere il miglior outcome possibile.

Enrico Ramoni*, Diego Magnano, Mauro Del Giglio

U.O. di Chirurgia Cardio-Toraco-Vascolare

Villa Torri Hospital, GVM Care & Research, Bologna

Unità di Terapia Sub-Intensiva
Istituto Clinico Casalpalocco

Covid-19 Hospital Roma 3

GVM Care & Research, Casalpalocco (RM)

*e-mail: enricoramoni@gmail.com

BIBLIOGRAFIA

1. Bonalumi G, Di Mauro M, Garatti A, Barili F, Parolari A, Gerosa G; Task Force della Società Italiana di Chirurgia Cardiaca sulla Pandemia COVID-19. Pandemia da COVID-19 e Chirurgia Cardiaca: position paper della Task Force della Società Italiana di Chirurgia Cardiaca COVID-SICCH. G Ital Cardiol 2020;21:396-400.

2. Kochi AN, Tagliari AP, Forleo GB, Fassini GM, Tondo C. Cardiac and arrhythmic complications in patients with COVID-19. J Cardiovasc Electrophysiol 2020;31:1003-8.

3. Bikdeli B, Madhavan MV, Jimenez D, et al. COVID-19 and thrombotic or thromboembolic disease: implications for prevention, antithrombotic therapy, and follow-up. J Am Coll Cardiol 2020 Apr 15. doi: 10.1016/j.jacc.2020.04.031 [Epub ahead of print].