Pandemia da COVID-19 e Chirurgia Cardiaca:
position paper della Task Force della Società Italiana
di Chirurgia Cardiaca COVID-SICCH

Giorgia Bonalumi1, Michele Di Mauro2, Andrea Garatti3, Fabio Barili4, Alessandro Parolari5*, Gino Gerosa6*,
a nome della Task Force della Società Italiana di Chirurgia Cardiaca sulla Pandemia COVID-19

1Dipartimento di Cardiochirurgia, Centro Cardiologico Monzino, Milano

2Cardiologia e Cardiochirurgia, API “Madonna del Ponte”, Lanciano (CH)

3Dipartimento di Cardiochirurgia, IRCCS Policlinico San Donato, San Donato Milanese (MI)

4Dipartimento di Cardiochirurgia, A.O. S. Croce e Carle, Cuneo

5U.O.C. Cardiochirurgia Universitaria e Ricerca Traslazionale, IRCCS Policlinico San Donato, Università degli Studi, Milano

6Dipartimento di Cardiochirurgia, Università degli Studi, Padova

L’avvento della pandemia da coronavirus 2 (SARS-CoV-2, detto anche COVID-19) e della grave sindrome respiratoria acuta ad esso correlata, con l’aumento esponenziale dei casi nei vari paesi1 ha posto l’Italia, l’Europa e tutto il mondo di fronte a prospettive e scenari del tutto nuovi ed inesplorati con i quali l’Italia è stata il primo paese europeo a doversi confrontare, e più di tutti la regione Lombardia.

Al 13 aprile 2020, sono stati documentati 15 9516 casi con 20 465 vittime a causa di COVID-19 in tutta Italia; di questi, 60 314 (10 901 morti) si sono verificati in Lombardia2.

La velocità di trasmissione così come la gravità del quadro clinico indotto dall’infezione da COVID-19 ha indotto il governo e le autorità regionali a ricorrere a mezzi di contenimento straordinari, mai utilizzati in Italia su territori così vasti. Al fine di rallentare la trasmissione virale e di garantire a tutta la popolazione l’accesso alle migliori cure disponibili e possibili, come sempre obiettivo del Sistema Sanitario Nazionale, è stata imposta la “quarantena” inizialmente solo nelle zone identificate come focolai d’infezione, estendendola successivamente a tutto il territorio nazionale. Si è proceduto infatti al blocco completo delle attività commerciali ritenute non di prima necessità, che è diventato, decreto dopo decreto, sempre più stringente.

Il rapido aumento dei pazienti positivi a COVID-19, e l’altrettanto rapido aggravarsi delle condizioni cliniche di una significativa proporzione di essi, ha portato alla crescente necessità di avere sempre più posti disponibili nei reparti di terapia intensiva per la gestione di pazienti in condizioni cosiddette “critiche”. Per far fronte a tale necessità è stata istituita una task force di emergenza dell’amministrazione locale della Regione Lombardia per riallocare le risorse sanitarie, in particolar modo quelle destinate alle terapie intensive3 (e comunicazione personale del Prof. Alessandro Parolari). Per far spazio a questa crescente richiesta di posti di rianimazione/terapia intensiva in molti ospedali persino le sale operatorie e le relative aree di risveglio/preparazione del paziente sono state riconvertite in terapie intensive in modo da poter utilizzare lo spazio, i letti ed i macchinari disponibili (ventilatori) per assistere i pazienti critici4. Tutti gli interventi chirurgici giudicati elettivi, il cui rinvio non pone in grave pericolo di vita il paziente, sono stati rinviati a data da destinarsi. Gran parte dei letti dedicati alle diverse specialità mediche e chirurgiche normalmente presenti nei grandi ospedali sono stati riassegnati ai pazienti affetti da COVID-19, soprattutto quelli dedicati alla cardiochirurgia, neurochirurgia (queste sono le due specialità chirurgiche che di solito si avvalgono di terapie intensive dedicate) e parte di quelli delle terapie intensive cardiologiche coronariche. Per questo motivo, 16 delle 20 unità cardiochirurgiche della Regione Lombardia hanno interrotto per decreto regionale le loro attività abituali. Le restanti 4 unità operative, mantenute funzionanti per l’attività cardiochirurgica urgente o non dilazionabile, sono state nominate centri di riferimento (Hub) per le altre 16 unità, riconvertite in Spoke. Ogni centro Hub è stato collegato a diversi centri Spoke in modo che tutti i casi, urgenze ed emergenze, fossero inviati dagli Spoke ai centri di riferimento. I pazienti con patologia di pertinenza cardiochirurgica che non potevano essere rinviati per più di 60 giorni sono stati rivalutati e ripianificati nel nuovo sistema.

Il numero progressivamente crescente di pazienti con polmonite che necessita di un trattamento in terapia intensiva ha messo a dura prova dapprima il sistema della Regione Lombardia, quindi il sistema Italia; dal momento che non era prevedibile se, nonostante lo sforzo messo in campo, le risorse sarebbero state sufficienti a potersi prendere adeguatamente cura di tutti i pazienti affetti da COVID-19, la Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva (SIAARTI) ha pubblicato un documento di indirizzo sui criteri di selezione dei pazienti per l’ammissione in terapia intensiva4.

È quindi intuitivo come ci stiamo trovando di fronte a degli scenari totalmente nuovi, imprevisti e tuttora imprevedibili nell’evoluzione futura, che necessitano e necessiteranno di approcci nuovi all’assistenza sanitaria. E la Cardiochirurgia è stata una delle prime specialità a doversi riconvertire prima delle altre affrontando nuovi scenari e situazioni che sono qui discussi.

COME GESTIRE I PAZIENTI POSITIVI A COVID-19 CHE NECESSITANO DI CARDIOCHIRURGIA

Alla luce della potenziale fonte di contagio proveniente da portatori asintomatici di COVID-19 si è resa obbligatoria una modifica delle modalità di lavoro tradizionali5.

Anche se i risultati degli interventi cardiochirurgici effettuati su pazienti COVID-19 positivi non sono tuttora noti, è verosimile che i pazienti cardiochirurgici siano più suscettibili alle gravi complicanze di COVID-19, dal momento che presentano maggiori comorbilità preesistenti rispetto alla popolazione generale. Inoltre, la circolazione extracorporea e la necessità di ventilazione meccanica invasiva perioperatoria possono rappresentare fattori predisponenti alla malattia polmonare.

Come detto sopra, le determinazioni della Regione Lombardia per garantire le cure cardiochirurgiche che non possono essere posticipate3 hanno fatto sì che 4 centri cardiochirurgici siano stati trasformati in centri “Hub” per pazienti cardiovascolari, mentre gli altri, detti centri “Spoke”, siano stati riconvertiti in centri COVID-19, riorganizzati come satelliti per l’arruolamento di pazienti non differibili, mentre le terapie intensive venivano riconvertite per accogliere i pazienti COVID-19. La necessità di una riconversione in tempi strettissimi in Hub e Spoke ha ovviamente comportato una serie di nuovi requisiti e regolamentazioni che possono essere così riassunti.

Per quanto riguarda i centri Hub, questi devono essere dotati di pronto soccorso con sala dedicata alla ricezione dei pazienti già noti per COVID-19; tutti i pazienti ricevuti in pronto soccorso (sia che siano trasferiti da altri ospedali sia che abbiano un accesso diretto) candidati a terapie cardiochirurgiche devono essere inizialmente trattati come COVID-19 positivi se non altrimenti dimostrato e il contatto con altri pazienti deve essere evitato mediante percorsi dedicati e mediante l’utilizzo di misure di prevenzione (mascherine, guanti, ecc.).

Una volta accertata la positività o la negatività dei pazienti al COVID-19, è fondamentale disporre di due percorsi diversi e totalmente separati per i pazienti COVID-19 positivi (percorso infetto/sporco) e per i pazienti COVID-19 negativi (percorso pulito). Di conseguenza, il centro Hub deve anche riservare almeno una sala operatoria dedicata al trattamento dei pazienti COVID-19 positivi in cui operare i casi già chiaramente COVID-19 positivi (con tutti i limiti dell’assenza di risultati certi in questa nuova tipologia di pazienti) e tutti i pazienti giunti in emergenza in cui lo stato “COVID” non è ancora noto. In questa sala operatoria tutti gli operatori coinvolti devono essere adeguatamente protetti con dispositivi di protezione individuale approvati per il personale sanitario e funzionali sia per l’esecuzione dell’intervento che per la massima protezione degli operatori sanitari. Manovre di contenimento della contaminazione devono poi essere necessariamente attuate da tutti gli astanti prima di abbandonare questa sala. Il materiale di scarto, preferibilmente monouso (camici, copriscarpe, cuffie, ecc.) deve essere smaltito attraverso contenitori dedicati chiusi prima di essere portati all’esterno della sala. La sala operatoria e le strumentazioni contenute devono essere pulite al termine della procedura e la sala sanificata con soluzioni approvate come idonee per la disinfezione; si potrebbe anche ricorrere, in questo caso, ad un protocollo specifico che utilizzi un sistema aerosolizzante per la pulizia della sala operatoria.

I pazienti COVID-19 negativi devono essere invece trattati in una sala operatoria “pulita” dedicata dove comunque le misure di protezione individuale e le tecniche di sanificazione dovranno essere potenziate rispetto agli standard. Conseguentemente, anche la terapia intensiva ed il reparto di chirurgia devono avere spazi separati e team dedicati per i pazienti COVID-19 positivi e COVID-19 negativi.

Si raccomanda, durante la degenza in ospedale, di monitorare rigorosamente qualsiasi sintomo e segno di infezione, non solo quelli più probabili dopo interventi di cardiochirurgia ma anche quelli derivanti da COVID-19.

Particolare attenzione dovrà essere dedicata al percorso di ogni paziente che giunga in emergenza/urgenza, e in questo contesto si ribadisce ancora una volta la necessità di distinguere il paziente COVID-19 positivo dal paziente COVID-19 negativo e, nel contesto dei pazienti negativi, avrà un ruolo fondamentale la raccolta di un’anamnesi dettagliata, con particolare attenzione a recenti sintomi respiratori, alla presenza di febbre e specialmente al contatto con persone positive o a rischio, in modo da evidenziare pazienti che, pur essendo COVID-19 negativi, siano ad elevato rischio di positivizzazione. In tutto questo si dovrà tener conto anche della non trascurabile eventualità che lo stato clinico del paziente renda impossibile la raccolta dell’anamnesi.

Per quanto riguarda i pazienti da trasferire dal centro Spoke al centro Hub, riteniamo che il tampone nasale debba essere eseguito il più presto possibile, preferibilmente nel centro Spoke, anche se la soluzione più efficace potrebbe essere l’esecuzione del tampone all’arrivo al centro Hub, posto che sia disponibile la possibilità di analizzare immediatamente ed in loco il tampone 24/7. È fortemente consigliata l’esecuzione di una tomografia computerizzata (TC) del torace per ogni paziente sottoposto a valutazione o candidato ad intervento cardiochirurgico, posto che le condizioni cliniche lo consentano. La TC sembra attualmente lo strumento più sensibile per riconoscere una polmonite interstiziale da COVID-19 anche in fasi estremamente precoci dell’infezione; dobbiamo comunque sottolineare come molti pazienti sottoposti a chirurgia cardiaca, specie in urgenza-emergenza (es. sindromi aortiche acute) siano abitualmente sottoposti a questo tipo di accertamento.

Per quanto riguarda le turnazioni del personale ospedaliero, vi è l’estrema necessità di adottare misure straordinarie per proteggere il personale stesso, evitando, quando possibile, un’alta concentrazione del personale sanitario dedicato ai pazienti COVID-19 positivi, se non strettamente necessaria. Andrebbe inoltre fortemente considerata la possibilità di turnazioni/alternanza del personale sanitario di 14 giorni, al fine di auto-monitorare l’insorgenza di eventuali sintomi suggestivi di contagio COVID-19 durante il periodo di congedo dall’ospedale.

È inoltre fortemente consigliabile la creazione di una Rete per la riabilitazione con centri COVID-free o ancora meglio una Rete domestica, magari afferente ad un sistema di telecardiologia.

Per quanto riguarda le equipe cardiochirurgiche riteniamo che l’accorpamento di non più di 4/5 unità di cardiochirurgia referenti ad un singolo centro Hub possa essere consigliabile; questo al fine di non ampliare eccessivamente il territorio da servire e l’eventuale numero di pazienti da assistere. Deve inoltre essere implementata un’ampia turnazione per gli interventi cardiochirurgici, in cui i centri Hub e Spoke condividano le turnazioni di reperibilità e formino delle equipe condivise di chirurghi provenienti da più centri con l’obiettivo di rendere il più adattabile e modificabile possibile la complessa maglia di turni e distribuire il carico di lavoro potendo contare su un numero maggiore di specialisti. Questo è ritenuto estremamente utile soprattutto in considerazione della tutt’altro che remota possibilità di contagio dei sanitari stessi. Questo team condiviso deve ovviamente essere disponibile a tempo pieno (24/7).

Alla pari, la condivisione (tra i vari centri Spoke e Hub di riferimento) dei turni del personale di sala operatoria quali infermieri e perfusionisti deve essere implementata nel caso in cui, naturalmente, questi ultimi non fossero già ridestinati negli ospedali di appartenenza ad altri reparti COVID-19, in terapia intensiva gli infermieri o nella gestione dell’ossigenazione extracorporea a membrana (ECMO) per quanto riguarda i perfusionisti.

CARDIOCHIRURGHI NEGLI OSPEDALI “SPOKE”

Come accennato in precedenza, la già avvenuta riallocazione delle risorse umane per la gestione dell’emergenza COVID-19 nei centri “Spoke” ha portato molti cardiochirurghi, così come molti colleghi di altre specialità, a modificare bruscamente la loro vita professionale quotidiana, passando dall’attività chirurgica ad un nuovo ruolo indefinito e imprevedibile, meritevole secondo noi di una menzione particolare.

Gestione dei pazienti con malattie croniche

Come anticipato, sono molte le unità di cardiochirurgia e di terapia intensiva coronarica convertitesi in pochi giorni in unità COVID. Durante questa fase di transizione, i pazienti che stanno terminando il percorso postoperatorio tradizionale nei centri Spoke devono comunque essere gestiti in sicurezza. Quelli con un decorso postoperatorio regolare, appena le loro condizioni fisiche lo consentano, devono essere rapidamente dimessi e gestiti con cure ambulatoriali. Quelli con un decorso postoperatorio più complesso per varie ragioni (contropulsatore aortico, emofiltrazione veno-venosa continua, tracheostomia, gastrostomia endoscopica percutanea) non essendo né dimettibili né trasferibili in altre terapie intensive devono essere isolati in un’area dedicata (per ovvie ragioni questo tipo di pazienti incorrerebbe in una prognosi estremamente infausta, in caso di infezione da COVID-19). Alla luce di quanto esposto è opportuno riservare 3-4 letti in terapia intensiva ed un’area separata dell’ospedale totalmente COVID-free, dedicata esclusivamente alla gestione di pazienti con malattie croniche, già ospedalizzati prima della quarantena. Si potrebbe addirittura pensare all’utilizzo di alcune strutture di sala operatoria che, essendo state chiuse in questa situazione, possono essere riconvertite con relativa facilità a “terapia intensiva cronica cardiologica/cardiochirurgica”. Durante questa fase critica e di transizione, in queste aree, i cardiochirurghi non coinvolti nelle attività del sistema Hub e Spoke sono sicuramente di grande aiuto per l’assistenza clinica, alleggerendo il carico di lavoro dei colleghi anestesisti, la stragrande maggioranza dei quali è coinvolta nell’assistenza ai pazienti COVID-19.

Gestione delle ferite croniche

Alcuni pazienti necessitano di ospedalizzazione prolungata a causa di infezione moderata o grave delle ferite chirurgiche (sterno, gamba, inguine, ecc.); questi pazienti sono sottoposti nella maggior parte dei casi a terapia antibiotica per via endovenosa. In base alla gravità della deiscenza della ferita o della stabilità sternale, dovrebbero essere quanto prima avviati alla terapia antibiotica orale e gestiti con terapie locali ad azione prolungata (es. terapia a pressione topica negativa) possibilmente al domicilio6. È altresì ipotizzabile che pazienti recentemente dimessi sviluppino problemi alle ferite a distanza di tempo e che necessitino di una valutazione ambulatoriale e farmaci, e questo è fonte di un ulteriore problema organizzativo alla luce delle importanti riduzioni imposte alla mobilità dalla quarantena. I cardiochirurghi devono, per quanto possibile, mettere in opera un ambulatorio virtuale per seguire questi pazienti tramite colloquio telefonico e valutazione fotografica (via e-mail o telefono cellulare), riservando solo ai casi più gravi la valutazione ospedaliera ed eventualmente la medicazione invasiva in sede ospedaliera.

Come informare correttamente i pazienti elettivi
il cui intervento viene procrastinato?

La quarantena determina un drammatico stress psicologico ed i medici sono tenuti a gestire anche questo aspetto. I pazienti il cui intervento è posticipato o cancellato temporaneamente devono essere rassicurati dal medico che ha in carico il paziente che il posticipare l’intervento non influenza significativamente il proprio rischio clinico. Ne consegue che molti pazienti devono poter avere accesso ad un confronto con il proprio cardiochirurgo di riferimento per chiedere informazioni sul decorso postoperatorio o sulla valutazione preoperatoria o sempre più spesso sul proprio rischio infettivo COVID-19 relato, alla luce della cardiopatia esistente. Per le stesse motivazioni le visite di controllo postoperatorie abitualmente eseguite al termine del periodo riabilitativo devono essere evitate, salvo naturalmente la presenza di problematiche critiche pendenti.

Supporto al personale medico nella gestione
dei pazienti COVID-19

Nella pianificazione delle strategie di contenimento a breve e a lungo termine dobbiamo considerare i casi di medici esposti all’infezione sia prima della presa di coscienza della situazione ma anche infettati da COVID-19 a seguito dello svolgimento dei propri compiti dopo l’assunzione delle misure di contenimento. Questo problema, di non poca rilevanza, evidenzia la necessità di proteggere il personale sanitario con misure straordinarie per non incorrere nella gravissima situazione di squilibrio tra personale sanitario infetto, e a sua volta bisognoso di cure, e personale disponibile per fornire assistenza ai comuni cittadini. Poiché anestesisti, pneumologi e intensivisti sono in prima linea nella gestione di questi pazienti, cardiologi e cardiochirurghi possono contribuire con la propria expertise. In molti centri per esempio, sebbene alcuni di loro possano mancare di sostanziale esperienza nella gestione delle vie aeree (compresi intubazione e tracheostomia), cardiologi e cardiochirurghi sono già abituati a gestire pazienti critici in terapia intensiva e post-intensiva, hanno familiarità con le terapie farmacologiche necessarie al supporto del circolo, con l’imaging del torace (radiografia, ecografia polmonare e TC), con l’emogasanalisi ed infine sono esperti nella valutazione del supporto circolatorio; inoltre, qualora ciò si rendesse necessario, sono in grado di posizionare vie d’accesso sia arteriose che venose per via percutanea. Del resto, sebbene la conseguenza più drammatica di un’infezione da COVID-19 sia una grave insufficienza respiratoria, vi sono dimostrazioni crescenti di un coinvolgimento cardiaco da COVID-19, acuto e cronico7. Il 30% dei pazienti con infezione da COVID-19 e sintomi gravi presenta ipertensione, diabete e malattie cardiovascolari, come descritto dai colleghi di Wuhan, dove è stato verificato un danno miocardico associato a SARS-CoV-2 in 5 dei primi 41 pazienti. Tra le persone decedute per COVID-19, l’11.8% dei pazienti ha manifestato un grave danno cardiaco, con innalzamento dei livelli di troponina o arresto cardiaco durante il ricovero8.

In conclusione, i pazienti colpiti da COVID-19 presentano un’elevata incidenza di sintomi cardiovascolari, verosimilmente mediata dalla risposta infiammatoria e protrombotica sistemica fortemente attiva durante la progressione della malattia. La situazione si aggrava ulteriormente in caso di ipossia direttamente correlata all’insufficienza respiratoria. L’ultimo aspetto in cui il cardiochirurgo può contribuire in modo significativo è il supporto respiratorio e circolatorio meccanico, anche se il ruolo dell’ECMO nella gestione del COVID-19 non è tuttora chiaro9. È stato utilizzato in alcuni pazienti con COVID-19 in Cina, e viene in questo momento impegnato intensivamente in Francia, ma non sono disponibili informazioni dettagliate sui risultati ottenuti con un atteggiamento ECMO maggiormente aggressivo.

Si tenga infine conto del fatto che molte informazioni sulla malattia sono ancora sconosciute, a partire dalla storia naturale dell’infezione, l’incidenza di complicanze tardive, la capacità di sviluppare immunità, la persistenza virale e le prognosi dei diversi sottogruppi di pazienti. Per organizzare il lavoro e facilitare la raccolta sistematica di dati c’è stata la pronta mobilitazione dei registri e dei gruppi di ricerca clinica esistenti (es. il registro ELSO [Extracorporeal Life Support Organization]).

QUESTIONI ETICHE NELLA PANDEMIA
DI COVID-19

Nel 2014, l’American College of Chest Physicians ha pubblicato un documento di consenso che riporta considerazioni etiche per la cura dei pazienti critici durante le pandemie10. Le pandemie, come quella causata dal COVID-19, mettono a dura prova l’etica dei processi decisionali. Ne consegue che la pianificazione per la gestione delle pandemie non dovrebbe essere volta solo a ridurre la diffusione del virus o a curare i pazienti malati, ma dovrebbe anche fornire una guida etica per stabilire alcuni confini.

Riteniamo che alcuni punti riportati nel documento dell’American College of Chest Physicians siano da considerare addirittura imprescindibili:

1.Le politiche di distribuzione delle risorse attuate in fase pandemica dovrebbero essere comunicate chiaramente ed in anticipo ai membri della comunità per aiutare a mitigare potenziali conflitti chiarendo, che in questa specifica circostanza non vi è differenza morale tra “l’interruzione delle cure intensive già erogate ad alcuni pazienti nel tentativo di salvarne la vita” e la decisione di “non iniziare affatto ulteriori interventi terapeutici (cure intensive) su quei pazienti in cui la malattia viene giudicata irreversibile, per cui ogni ulteriore tentativo terapeutico sarebbe inefficace”.

2.Quando sono in atto protocolli di assistenza critica di massa, le risorse di terapia intensiva devono essere assegnate in base a criteri di triage specifici, applicati a tutti i pazienti indipendentemente dal fatto che il bisogno di cure intensive del paziente derivi da disastri/pandemia o condizioni non correlate.

3.È eticamente ammissibile utilizzare criteri di esclusione sviluppati in modo prospettico per l’accesso alle risorse di terapia intensiva, poiché se applicati in modo equo sono un approccio decisionale più eticamente accettabile rispetto al solo giudizio clinico. Tuttavia, è improbabile che siano stati convalidati per i pazienti in situazioni di pandemia o di disastro, e quindi non è noto se siano in grado di prevedere con precisione quali pazienti hanno il minor potenziale di sopravvivenza se sottoposti a terapia intensiva.

4.Possono essere eticamente ammissibili: a) protocolli che consentono l’esclusione dei pazienti dalle cure intensive nel corso di una pandemia che preveda un elevato consumo di risorse in corso. Questi devono essere basati sull’obiettivo di raggiungere ovvero sul “massimo beneficio per il maggior numero di persone” (il principio di utilità), entro limiti di rispetto per la dignità umana e per l’equità; b) protocolli che consentano lo stop alle cure intensive in base al livello sproporzionatamente elevato di utilizzo delle risorse di cure intensive da parte del paziente.

5.Gli ospedali hanno chiari obblighi, sia giuridici che etici, di proteggere la sicurezza dei lavoratori sia fisicamente che moralmente, per cui dovrebbero impegnarsi a fornire dispositivi di protezione individuale ed un ambiente di lavoro sicuro. Non ultimo dovrebbero elaborare dei piani di sostegno per il disagio morale dei propri dipendenti e per la tipologia di rapporto con i proprio familiari, da osservare in corso di pandemia.

6.I medici assegnati alla terapia intensiva che non siano in grado di sostenere l’incremento del carico di lavoro in un momento di crisi dovrebbero essere riassegnati ad altri ruoli durante la risposta alle catastrofi, ma non sollevati dal loro obbligo di partecipare alla risposta stessa.

Come già detto, i punti dall’1 al 4 sono stati recentemente affrontati dalla SIAARTI in un documento pubblicato online nel marzo 20204, in cui la Società Scientifica ha presentato raccomandazioni cliniche etiche per l’ammissione in terapia intensiva, in circostanze eccezionali in caso di squilibrio tra bisogni della popolazione e disponibilità di risorse. Il principio etico che guida gli intensivisti in un sistema sanitario a risorse limitate dovrebbe essere quello di allocare le risorse a coloro che hanno una maggiore aspettativa di vita piuttosto che in base all’ordine di arrivo. Un secondo approccio potrebbe essere quello di dare la priorità a coloro che sono più gravi (ma non terminali) e quindi hanno più bisogno. Durante il sistema di triage bellico i soldati “feriti pericolosamente” ricevono cure prima dei feriti meno gravi. I moribondi non sono oggetto di cure11.

Fortunatamente, al momento, non è stato necessario applicare questo concetto grazie a un cospicuo aumento dei letti di terapia intensiva e di risorse umane messo in atto dal Sistema Sanitario Nazionale e dalle politiche regionali di contrasto al COVID-19.

Un’altra preoccupazione etica ruota attorno alla necessità di proseguire con la chirurgia elettiva e semi-elettiva, nel nostro caso con la cardiochirurgia, in caso di pandemia. Come abbiamo già riferito, uno dei problemi principali nel corso di una pandemia è la possibile carenza di letti e ventilatori nella terapia intensiva postoperatoria. In questo scenario, è sicuramente necessario procrastinare gli interventi elettivi e garantire gli interventi di emergenza, anche perché non sono noti quali possano essere i risultati/esiti dei pazienti sottoposti ad intervento cardiochirurgico operati positivi al COVID-19. Alcuni report assolutamente preliminari suggeriscono come la presenza del COVID-19 possa impattare significativamente in modo negativo sui risultati degli interventi cardiochirurgici12,13.

In questa prospettiva, è auspicabile che gli ospedali possano riorganizzarsi in un sistema Hub e Spoke in cui l’Hub continui a garantire l’assistenza cardiochirurgica, mentre lo Spoke la interrompa temporaneamente.

Inoltre, gli ospedali Hub devono fornire due percorsi diversi per i pazienti con COVID-19 in fase di insufficienza respiratoria e per i pazienti con COVID-19 negativi che necessitino di un intervento di cardiochirurgia in emergenza.

Infine, ci sarà un ulteriore sottogruppo di pazienti positivi per COVID-19 che necessita di un intervento cardiochirurgico in emergenza. In questo caso, vi è un impegno etico nel sottoporre questi pazienti all’intervento in tempi brevi, riducendo il personale di sala al minimo richiesto, predeterminando i requisiti per una maggiore protezione personale, accertandosi che tutto il team abbia adottato misure adeguate alla propria protezione e valutando, infine, l’adeguatezza dei processi di sterilizzazione post-procedurale come suggerito dall’American College of Cardiology12.

L’avvento del’Heart Team sta diventando sempre più utile nella scelta del giusto approccio al paziente, data la parziale sovrapposizione nel trattamento di alcune patologie cardiache tra procedure transcatetere e approcci chirurgici tradizionali13. Crediamo che nell’era COVID-19, l’utilizzo dell’Heart Team come risorsa decisionale a sostegno dell’operato di cardiochirurghi, cardiologi ed intensivisti sia un imperativo. Del resto laddove l’approccio transcatetere può essere la soluzione per pazienti cardiopatici, senza che questi abbiano poi necessità di un posto in terapia intensiva o di un ventilatore, riteniamo corretto che il processo decisionale, la valutazione dei rischi e dei benefici e la presa in carico di responsabilità venga condivisa dall’Heart Team e non rimanga a carico del singolo professionista.

CONCLUSIONI

La rapida diffusione della pandemia da COVID-19 pone nuove domande, sfide ed opportunità per i sistemi sanitari di ogni nazione del mondo. L’Italia è attualmente il paese con il secondo numero più alto di casi confermati dopo gli Stati Uniti. Ciò ha portato il sistema sanitario, sia pubblico che privato, ad affrontare una sfida senza precedenti per soddisfare le esigenze delle persone che vengono infettate e che necessitano di un ricovero e di cure in terapia intensiva. Abbiamo descritto il modello in fase di attuazione nella Regione Lombardia, la Regione con (al 13 aprile 2020) il 38% dei casi e il 53% dei decessi (si noti che la Regione Lombardia ha una popolazione di 10.04 milioni, che rappresenta circa il 16.6% della popolazione totale italiana di 60.48 milioni). Questo modello prevede un sistema detto Hub e Spoke, ma è possibile che, in un prossimo futuro, altri modelli possano essere adottati da altre regioni.

Ad esempio, un approccio diverso è stato attuato nella Regione Veneto; premesso che tutti i centri cardiochirurgici hanno sospeso l’attività elettiva privilegiando le sole urgenze/emergenze, non sono stati identificati centri Hub e dunque tutti i centri cardiochirurgici hanno continuato l’attività cardiochirurgica di emergenza. Al fine di concentrare le risorse è stata presa in considerazione l’eventualità di centralizzare gli interventi cardiochirurgici in un solo ospedale COVID-free.

Qualunque sia la strategia adottata, non è ancora noto che impatto avrà sulle future esigenze delle procedure chirurgiche cardiache elettive e delle altre procedure chirurgiche (es. neurochirurgia e chirurgia vascolare complessa) che non possono essere eseguite se non con un’adeguata disponibilità di letti in terapia intensiva, e sugli outcome dei pazienti elettivi o semi urgenti il cui trattamento viene ad essere al momento posticipato a tempo indeterminato, viste le tuttora enormi incertezze sulla riapertura, ripartenza, fase 2 del sistema Italia costretto a fronteggiare una situazione imprevista e veramente difficile.

BIBLIOGRAFIA

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409c-825b-25f781d8756c/DGR+2906
+8+marzo+2020.pdf?MOD=AJPERES&
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