Infarto e danno miocardico periprocedurali dopo rivascolarizzazione miocardica: incidenza, implicazioni cliniche e prognosi

Matteo Armillotta, Francesco Angeli, Andrea Rinaldi, Davide Bertolini, Sara Amicone, Francesca Bodega, Damiano Fedele, Andrea Impellizzeri, Ornella Di Iuorio, Luca Bergamaschi, Pasquale Paolisso, Alberto Foà, Andrea Stefanizzi, Angelo Sansonetti, Lisa Canton, Nicole Suma, Francesco Pio Tattilo, Daniele Cavallo, Khrystyna Ryabenko, Marcello Casuso Alvarez, Gianfranco Tortorici, Carmine Pizzi

RIASSUNTO: La rivascolarizzazione miocardica, sia percutanea che chirurgica, rappresenta un’importante strategia terapeutica nell’ambito delle sindromi coronariche acute e croniche. Nella pratica clinica non è infrequente incontrare complicanze di queste procedure, nello specifico il danno e l’infarto miocardico periprocedurali. I meccanismi eziopatogenetici sono molteplici e diversi per la rivascolarizzazione percutanea (embolizzazione distale, vasospasmo, occlusione di un vaso minore) e chirurgica (ischemia prolungata, fallimento precoce del graft, aritmie o ipotensione insorte nel periodo intraoperatorio). Le troponine ad alta sensibilità si sono imposte come biomarcatore di riferimento in virtù del loro valore prognostico. Tuttavia, i dati disponibili in letteratura in merito a criteri diagnostici, gestione e implicazioni terapeutiche sono contrastanti. Scopo di questa revisione della letteratura è descrivere lo stato attuale delle conoscenze in merito al danno e all’infarto miocardico periprocedurali, offrendo una panoramica delle definizioni più frequentemente utilizzate nella pratica clinica e delle evidenze più aggiornate in merito alla gestione e alle conseguenze prognostiche di queste complicanze.