Vent’anni di epidemiologia delle sindromi coronariche acute in Italia: come l’epidemiologia cardiovascolare può orientare la clinica e le strategie di prevenzione secondaria
Vent’anni di epidemiologia delle sindromi coronariche acute in Italia: come l’epidemiologia cardiovascolare può orientare la clinica e le strategie di prevenzione secondaria
Gian Francesco Mureddu, Paola D’Errigo, Stefano Rosato, Roberto Ceravolo, Vito Altamura, Mirko Di Martino, Luca Fileti, Pompilio Faggiano, Leonardo De Luca, Fulvia Seccareccia
RIASSUNTO: Negli ultimi 20 anni si sono verificate significative modificazioni dell’epidemiologia clinica delle sindromi coronariche acute (SCA), che hanno interessato sia la fase acuta che quella post-acuta. In particolare, a fronte della progressiva riduzione della mortalità intraospedaliera, l’andamento della mortalità post-ospedaliera è risultato stabile o in incremento. Tale andamento è stato in buona parte attribuito al fatto che l’interventistica coronarica nella fase acuta ha migliorato la prognosi a breve termine, incrementando in definitiva la popolazione di sopravvissuti ad elevato rischio di recidive. Quindi mentre la gestione ospedaliera delle SCA ha mostrato un grande progresso in termini di efficacia diagnostico-terapeutica, l’assistenza post-ospedaliera non ha avuto uno sviluppo parallelo. Ciò è in parte certamente attribuibile all’inadeguatezza e alla scarsa applicazione di appropriati percorsi cardiologici post-dimissione, finora non costruiti in funzione del livello di rischio dei singoli pazienti. È cruciale invece che i pazienti ad alto rischio di recidive vengano identificati ed avviati a strategie di prevenzione secondarie più intensive. Sulla base dei dati epidemiologici, i fondamenti della stratificazione prognostica post-SCA sono rappresentati da un lato dall’identificazione di scompenso cardiaco (SC) al ricovero indice, dall’altro dalla valutazione del rischio ischemico residuo. Nell’analisi delle schede di dimissione ospedaliera nel decennio 2001-2011, nei pazienti con SC al ricovero indice, il tasso di riospedalizzazione fatale aumentava dello 0.90% per anno, con una mortalità tra la dimissione ed il primo anno che nel 2011 era pari al 10%. Il rischio di riammissione fatale a 1 anno quindi è fortemente condizionato dalla presenza di SC che, insieme all’età, è il predittore maggiore di nuovi eventi. L’effetto di un elevato rischio aterotrombotico (o ischemico) residuo sulla mortalità mostra un andamento crescente fino al secondo anno di follow-up e moderatamente crescente negli anni successivi fino a raggiungere un plateau intorno al quinto anno. Queste osservazioni confermano la necessità di programmi di prevenzione secondaria a lungo termine in pazienti selezionati.