PROF. ENRICO GERACI (1932-2015)

Pensando a come rievocare la figura del Professore Enrico Geraci , mi sono posto alcune domande: 1) È stato davvero un pioniere? 2) Qual è l’eredità che ha lasciato a noi delle generazioni successive, e che cosa noi trasmetteremo a quella ancora successiva, che non lo ha conosciuto se non nella fase da retired? 3) Quali sono state le tappe fondamentali della sua carriera e le esperienze che lo fanno ancora ricordare, non soltanto nel contesto professionale in cui ha operato ma anche in ambito nazionale, tanto da accostarlo in questa rubrica alle figure che hanno fatto la storia della Cardiologia italiana? E poi una quarta domanda, forse la più importante, che tuttavia non può trovare risposta se non nell’immaginazione, influenzata dalla conoscenza e dall’affetto personale che molti di noi hanno nutrito nei suoi confronti: come avrebbe vissuto lui oggi questo periodo sociale e professionale così duro e diverso dal suo tempo?

La risposta alla prima domanda è scontata, per chi lo ha conosciuto: certamente è stato un pioniere, basti pensare a come lui ha descritto, nel corso di una intervista che io stesso gli ho fatto nel 2003 per “Cardiologia negli Ospedali”, la nascita della Divisione (allora si chiamavano così) di Cardiologia dell’Ospedale Cervello di Palermo. Era il 1971, il Professore era un brillante universitario, ma fece il “salto” (allora giudicato da molti avventuroso) verso l’Ospedale, mettendo in piedi – insieme ad un gruppo di giovani cardiologi colti ed entusiasti – un reparto che in breve divenne in grado di confrontarsi con le migliori istituzioni cardiologiche italiane. Questo lo rese immediatamente un punto di riferimento per tutti i cardiologi siciliani, che lo elessero idealmente a “Cassazione” per i casi più complessi nella pratica clinica, e per interpretare e dirimere le questioni più dibattute in ambito scientifico e culturale. Era una presenza immancabile in tutti i convegni, che allora erano meno numerosi; forse era meglio così, perché ogni evento aveva una sua “solennità”, e gli interventi del Professore erano sempre aggiornatissimi e chiarificatori; di fatto, nel loro insieme, sono stati una vera e propria scuola per tutti coloro che lo ascoltavano, indipendentemente dalle rispettive sedi lavorative.

Ecco, quello di essere stato maestro per una generazione di cardiologi, non soltanto per quelli fisicamente presenti nel suo ospedale, ma anche per quelli che lui amava definire la “comunità cardiologica” (oggi si chiamerebbe “scuola diffusa”), è il miglior modo di rispondere alla seconda domanda: l’eredità che ha lasciato a molti di noi risiede nello sforzo di affrontare con onestà intellettuale e rigore metodologico i problemi clinici quotidiani e le questioni poste dal dibattito scientifico. Oggi può sembrare un merito vago e agé, perché tutti ci muoviamo, o crediamo di farlo, in un sistema evidence-based, ma allora è stato un messaggio innovativo che ha consentito alla comunità cardiologica siciliana di fare un notevole passo avanti nella propria crescita culturale, il che ha gettato le basi per raggiungere il livello – a mio avviso elevato – che quella stessa comunità ha raggiunto negli anni. Quanto di questa eredità la nostra generazione stia trasmettendo alla successiva non sono in grado di dirlo. Certo, riconosco nel modo di riportare l’esperienza mia e dei colleghi coetanei nella pratica clinica e negli eventi formativi, l’impronta del Professore, il tentativo più o meno consapevole di seguirne lo stile.




A parte questa eredità “intangibile” (ma percepibile da chi ha vissuto in Sicilia quella fase storica), il Professore ha ricevuto una serie di riconoscimenti ed ha preso parte a diverse importanti iniziative, che danno la misura di quanto sia stato influente e apprezzato il suo ruolo all’interno della Cardiologia italiana. Mi limito qui a ricordare i momenti più legati al mondo ANMCO: la Direzione di questo Giornale, dal 1991 al 1993; l’assegnazione della Targa d’Oro nel 1997; la responsabilità del coordinamento del Comitato per la Ricerca Clinica dal 1989 al 1997; la partecipazione al nucleo originario del GISSI insieme alle grandi figure che nel 1985 ne promossero la nascita; l’impulso ideativo e il contributo culturale alla pianificazione degli studi GISSI successivi.




Ma non solo degli aspetti “istituzionali” è composta la memoria di chi lo ha seguito per anni con ammirazione mista ad affetto. Nel campo degli interessi privati, non faceva mistero della sua passione per il gioco del calcio, ne rivendicava anzi con un certo orgoglio una seria competenza. Con autoironia riconosceva che c’era del vero nella “maldicenza” di alcuni colleghi che sostenevano che spesso la durata della sua partecipazione agli impegni professionali pubblici fosse condizionata dagli orari delle partite in televisione.

Colpisce poi – andando a rileggere l’intervista del 2003 già citata – la capacità di intravedere gli sviluppi futuri della Cardiologia, individuandone i pro e i contro: l’impatto epidemiologico delle varie patologie; il ruolo della genetica; i potenziali benefici e pericoli dell’informatica, di cui sottolineava il rischio che contribuisse alla diffusione di informazioni mediche scorrette (le fake news di oggi); il rapporto tra ricerca clinica e Industria, rispetto al quale auspicava un bilanciamento verso la ricerca indipendente, pur essendo realisticamente consapevole di quanto questo fosse improbabile (ed in questo senso è stato facile profeta).

Resta da affrontare la quarta domanda, quella che non può avere risposta: come vivrebbe oggi il Professore questo tempo così diverso da quello in cui lui è cresciuto e si è affermato? A me piace pensare – in una immagine un po’ visionaria della storia – che in questa fase di profonda trasformazione del nostro mondo professionale, che a volte facciamo fatica a comprendere e a governare, il Professore avrebbe trovato un suo modo di ricomporre almeno in parte i pezzi del puzzle di fronte al quale ci troviamo, tra la complessità delle patologie che affrontiamo, la limitazione delle risorse, l’invecchiamento e la riduzione degli organici, il difficile confronto con manager e politica. Lo avrebbe fatto in modo non conflittuale (non era del resto uomo portato a scontrarsi con i mulini a vento), mettendo a frutto la sua saggezza, adattandosi darwinianamente alla realtà ostile e trovando sempre il punto di equilibrio migliore per mantenere quella integrità personale e professionale che è – in estrema sintesi – la vera eredità che ci ha lasciato, e che molti di noi provano a perpetuare.

Francesco Clemenza

Unità di Cardiologia, Dipartimento per la Cura e lo Studio
delle Patologie Cardiotoraciche e dei Trapianti Cardiotoracici

IRCCS ISMETT, Palermo

e-mail: fclemenza@ISMETT.edu