Prof. PIER LUIGI PRATI

(Modena, 4 maggio 1927 – Roma, 29 settembre 2009)

Il genio è normale

L’operazione di ricostruzione storica che il Direttore del Giornale Italiano di Cardiologia Giuseppe Di Pasquale sta conducendo sulla “prima generazione” di Cardiologi italiani ha il merito di aiutare a comprendere la continuità, negli ultimi 70 anni, di una branca in costante ascesa e protagonista nell’aumento dell’attesa di vita. È stato un progresso senza interruzioni, ma è bene che la “terza generazione” dei cardiologi conosca questa storia e tocca a noi “seconda generazione” raccontarla, anche per evitare che vada disperso quel patrimonio di metodologia clinica che, se riapplicato alla nuova cardiologia tecnologica, ne addolcirebbe alcuni aspetti meccanicistici, restituendo al medico e al paziente l’armonia dell’umanizzazione del lavoro.

Ho conosciuto Pier Luigi Prati il 25 gennaio del 1972, quanto, venticinquenne, andai a parlare con il giovane Primario Cardiologo dell’Ospedale Cardiologico Lancisi di Ancona. Da allora ho avuto il privilegio di seguire molto da vicino il suo lavoro e lo racconterò dopo aver fatto parlare le persone che lo avevano seguito nei decenni precedenti. Il primo è il Prof. Edoardo Storti, Direttore della Patologia Medica di Modena, che, in una lettera di presentazione per un concorso di docenza, descrive nel 1958 l’inizio di un percorso pionieristico, che tanti altri cominciavano a fare dopo la diffusione dell’elettrocardiografo. L’attestato è scritto con gli splendidi caratteri della “lettera 22” e mi è stato cortesemente fornito dalla Sig.ra Paola Prati (Figura 1):

“Il Dott. Pier Luigi Prati ha frequentato, quale allievo interno, l’Istituto di Patologia Medica di Modena (negli anni accademici 1948-49/1950-51). Dopo la laurea, conseguita con 110/110 e lode nel 1952, è entrato nell’Istituto quale medico interno. Nel 1953 ha ottenuto la nomina ad assistente volontario e nel 1956 quella di assistente straordinario. Nel 1955 ha conseguito la specializzazione in Cardiologia presso l’Università di Pisa. Dal 1953 dirige il Laboratorio di Cardiologia ed un Reparto degenti. Dallo stesso anno svolge regolari corsi di esercitazioni per gli studenti.

Il Dottor Prati ha sempre disimpegnato i compiti a lui affidati con mia piena soddisfazione dimostrando una solida preparazione tecnica e pratica.

L’attività scientifica del Dottor Prati si è rivolta con particolare successo allo studio di interessanti problemi di elettrocardiografia, balistocardiografia, di terapia nel campo cardiologico ed angiologico. Degno di nota per originalità di impostazione e rigore metodologico è un vasto gruppo di ricerche sulla fisiopatologia della circolazione sistemica, condotto mediante registrazione della pressione intra-aortica nell’uomo...

... La produzione scientifica del Dottor Prati rivela una profonda conoscenza dei problemi di fisiopatologia ed un vivo senso clinico, congiunti alla completa padronanza della metodica strumentale.




I progressi tecnologici della Cardiologia degli anni ’60 erano legati alla policardiografia e per questo riporto un brano di un secondo attestato del 23 febbraio 1967, rilasciato dal Prof. Carlo Secco di Verona, per presentarsi al concorso come Primario dell’Ospedale Cardioreumatologico di Ancona:

“… Vincitore di borsa di studio NATO, ha frequentato, dall’ottobre 1961 all’ottobre 1962, l’Istituto Nazionale di Cardiologia del Messico ove ottenne ampi riconoscimenti e l’incarico dell’insegnamento pratico della fonocardiografia. Fin dal 1953 ha diretto il servizio di cardiologia dell’Istituto di Patologia Medica di Modena, nonché, dalla sua istituzione (gennaio 1966), la sezione cardiodiagnostica del Centro Inam per la diagnosi e la terapia chirurgica delle malattie cardio-toraciche operante presso gli Istituti di Patologia Medica e Clinica Chirurgica dell’Università di Modena. È autore di 62 pregevoli pubblicazioni, tra cui una monografia, su argomenti pressoché esclusivamente cardiologici, inerenti problemi di fisiopatologia cardio-circolatoria, di elettrocardiografia, di emodinamica e di clinica delle cardiopatia congenite ed acquisite.

Il Prof. Prati possiede un’eccezionale padronanza teorica e pratica della materia, unita ad un vivo senso clinico e ad una profonda, particolarissima conoscenza dei problemi di diagnostica delle cardiopatie congenite ed acquisite, passibili di trattamento chirurgico…”.

Il distacco dall’Università, nel 1967, avvenne sulla scia di quanto stava avvenendo in quegli anni, ovvero la creazione di Centri cardiologici ospedalieri moderni ed efficienti, che avrebbero costituito il modello per tutte le strutture cardiologiche italiane, il Niguarda di Rovelli a Milano, il San Camillo di Puddu e Masini a Roma, e poi il Centro Cardiologico di Prati ad Ancona. Facciamo raccontare direttamente al Prof. Prati (da una mia intervista fatta a lui nel 2005 per la rivista “Cuore e Salute”):

D.: Caro Professore, ci può raccontare come ha vissuto personalmente la separazione della Cardiologia dalla Medicina Interna?

R.: L’ho vissuta come l’ultimo, grande errore dell’Università Italiana ed il primo, sorprendente, isolato, grande successo dell’Ospedale. Non avrei mai creduto che la miopia di chi ci dirigeva e che era stato per noi buon maestro, potesse rinunciare ad un progresso tecnologico per difendere privilegi personali, professionali, alla lunga indifendibili. La separazione della Cardiologia dalla Medicina Interna era inevitabile come lo è ora quella dell’Emodinamica dalla Cardiologia. L’Università fece finta di non accorgersene e pagò un duro prezzo culturale. L’ospedale lo capì e conobbe con largo anticipo attraverso la Cardiologia, un’impennata di prestigio, oggi ancora riconoscibile. Personalmente ne soffrii perché amavo e stimavo l’Università e le ero grato per quello che mi aveva dato. Non fu facile lasciarla e non fu senza difficoltà inserirsi in un ambiente nuovo, più concreto ma anche meno idoneo a coltivare i sogni professionali della giovinezza. Confortò vedere crescere in Italia una generazione di eccellenti cardiologi, formatisi costantemente ed inevitabilmente all’estero, uniti dal prepotente desiderio di dare al nostro Paese una cardiologia di cui essere fieri.

La responsabilità del Centro Cardiologico di Ancona segnò il decollo del grande progetto di realizzazione del modello di Cardiologia che tutt’oggi è in essere, anche se tecnologicamente più avanzato. Sempre dal quell’intervista:

D.: Gli anni di Ancona. Eravamo tutti molto giovani ed entusiasti: è stato quello il segreto del successo?

R.: Quello di Ancona era l’unico ospedale cardiologico specializzato, con tutti i suoi pregi ed i suoi difetti. Lo raggiunsi il 1° luglio 1967, provenendo dal settentrione, quando l’ultimo casello dell’autostrada era quello di Rimini Nord. Il “Cardiologico” di Ancona si presentò come una clinica in periferia, anzi in campagna. Vicino all’ospedale vi era un pollaio che io scelsi subito come monumento a quello che, contro evidenti difficoltà, ci ripromettevamo di fare. Davanti a quel pollaio passarono molti valenti medici che venivano ad insegnare molte cose, ad impararne qualcuna, a discuterne tante altre. Questo traffico davanti al pollaio nasceva dal fatto che eravamo stimati ma anche dall’essere una delle sole 4 divisioni di Cardiologia esistenti in Italia. Ricordo con emozione le cose fatte per la prima volta: le sostituzioni valvolari, i bypass aortocoronarici, l’Unità Coronarica, la correzione di tante malformazioni e di quelle malattie reumatiche che chiamavano mediterranee per sottolinearne l’estrema gravità raggiunta. È stata conservata una ricca corrispondenza tra i ricoverati di allora e l’Ospedale Lancisi. Meriterebbe di essere riletta. Alfredo Palminiello ne ha pubblicato sia sul Giornale Italiano di Cardiologia che su Cuore e Salute nel 1998. Ricordo con grande affetto gli undici anni di Ancona. Mentre i miei figli andavano a scuola e cominciavano a sentirsi marchigiani, io imparavo quanto fosse bello lavorare tra tante persone amiche e stimate. Una di queste si chiamava Boccanelli. Non penso che il merito del successo vada attribuito principalmente al fatto che eravamo giovani ed entusiasti. Penso molto ai vantaggi di un ospedale senza politica imperversante, senza eserciti di amministratori, senza carriere dettate dalle raccomandazioni, mandato avanti da giovani che avevano scelto la medicina come strumento per la loro affermazione nella vita e che nutrivano fiducia in uno Stato, discreto garante per i meritevoli ed i volenterosi.

Nel 1978, con grande rammarico della popolazione di Ancona, che aveva imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo, il Prof. Prati lasciò il Centro Cardiologico Lancisi per trasferirsi al San Camillo di Roma. All’epoca era primario a Roma un altro grande della Cardiologia Italiana, Vincenzo Masini, che favorì l’andata di Prati, anche se poi le due forti personalità si ritrovarono in costante, anche se amichevole, concorrenza. Dalla mia intervista:

D.: Gli anni di Ancona e poi quelli del San Camillo. Le Divisioni da Lei dirette funzionavano come orologi svizzeri: può dare qualche consiglio a qualche Primario (o Direttore) più giovane?

R.: Ricordo stimate persone domandarmi se avessi fatto bene ad andare ad Ancona ed a Roma. Erano domande che nascevano da particolari considerazioni opportunistiche. Debbo dire che io mi sono trovato benissimo sia ad Ancona che a Roma, felice dell’ospitalità concessami, pur sentendomi grandemente legato ai ricordi della mia terra. Ho vissuto nell’Ospedale e per l’Ospedale. Ho gioito della visita domenicale mattutina, di una cartella ben tenuta, di una diagnosi difficile strappata dalla ennesima rimeditazione di un’anamnesi, di un corridoio liberato da letti indecorosi, dal ritrovarsi dopo cena per scrivere un lavoro, dall’aver convinto qualcuno che ai vecchi non si deve dare del tu, chiamarli “nonno” o trattarli con sufficienza. Non so se queste cose vadano consigliate ai giovani di oggi. Io mi ci sono trovato bene. Mi sarei trovato bene in qualsiasi altro ospedale d’Italia purché mi avessero lasciato lavorare come mi piaceva.

Durante i primi anni del San Camillo nasce il “Centro per la lotta Contro l’Infarto”. Inizialmente si chiamava “Centro Studi sulla Cardiopatia Ischemica”. Ricordo lunghi e bellissimi pomeriggi seduti nel suo studio a perfezionare il grande progetto di prevenzione, che avrebbe regalato ai Cardiologi italiani l’innovativo congresso “Conoscere e Curare il Cuore”, tuttora punto di riferimento culturale irrinunciabile per la maggior parte dei Cardiologi italiani e mantenuto fedele ai principi ispiratori anche con le necessarie innovazioni. Da quella intervista (Figura 2):

D.: Il Centro per la Lotta contro l’Infarto, il congresso Conoscere e Curare il Cuore, la mostra Cuorevivo. Storia e ingredienti di altri successi.

R.: Ci siamo divertiti a fare queste cose e siamo piuttosto fieri dei successi ottenuti. La formula ha funzionato. Abbiamo invitato a parlare solamente le persone che ci sembravano possedere la massima competenza e capacità espositiva, rinunciando ad ogni scelta politica, geografica o – orribile dictu – opportunistica per ricambio di inviti. Abbiamo rinunciato agli argomenti con traino pubblicitario o con predilezione per la terapia farmacologica. Abbiamo soppresso le sessioni monotematiche, inevitabilmente ripetitive, dando la preferenza a temi con risvolto pratico. Forse siamo stati premiati più di quanto meritassimo. Sarà stato un riconoscimento alla serietà?




Una volta lasciato l’Ospedale, alla fine degli anni ’90, il Prof. Prati continuò a mettere in pratica nel privato il suo metodo di lavoro ordinato e intelligente fino a che, a causa della malattia, fu costretto a rinunciare alla sua attività nel 2008 per poi lasciarci nel settembre 2009.

Lascio la parola a lui per concludere:

D.: Lei ha scritto “Nostalgia di baroni”. Vuole darne una breve versione aggiornata?

R.:“Nostalgia di baroni” è stata una ventata sentimentale in uno di quei momenti in cui il soffio dei ricordi è più forte del solito. Sono contento di averlo pensato e scritto. Sono riconoscente a Franco Fontanini per avermi aiutato tanto. Mi sarebbe piaciuto far seguire un “Ridateci gli imbroglioni” ma non riesco a trovare l’esatta definizione del tipo di imbroglione – piuttosto intelligente e piuttosto bravo – al quale penso. Per esistere, l’imbroglione ha bisogno di una società diversa dalla nostra, più pulita e ordinata, di cui costituire la voce fuori dal coro, utile all’autocelebrazione della maggioranza che, dal confronto, uscirebbe più rispettabile. La nostra “Nostalgia di baroni” era la nostalgia della gente di talento. Andavamo d’accordo con Pitigrilli: “Posso capire il bacio al lebbroso, non capirò mai la stretta di mano al cretino”. Forse, nella nostra vita abbiamo stretto qualche mano di troppo.

Alessandro Boccanelli

Casa di Cura Quisisana, Roma

e-mail: boccanelli.alessandro@gmail.com