Disfunzione erettile vasculogenica:
una patologia multidisciplinare

Roberto La Rocca, Vincenzo Mirone

Dipartimento di Urologia, Università degli Studi “Federico II”, Napoli

Il corretto funzionamento del meccanismo erettile richiede una complessa interazione di più componenti, vascolari e nervose principalmente. Una malattia veno-occlusiva, un trauma, un fenomeno di fibrosi cavernosa possono contribuire ad una disfunzione erettile vasculogenica. Tali forme, benché meno comuni, rappresentano situazioni difficili da trattare con le terapie attualmente accettate e standardizzate. Il sempre maggiore ricorso alla radioterapia, ad interventi chirurgici invasivi ma anche gli effetti di un priapismo o di traumi possono causare un aumento della matrice extracellulare con conseguente fibrosi cavernosa ed alterazioni strutturali nel muscolo liscio. Ancora, alterazioni della tunica albuginea possono causare insufficienza veno-occlusiva a causa di un eccessivo deflusso di sangue lacunare attraverso le venule sub-tunicali. Ciò si verifica comunemente con l’invecchiamento o in caso di ipercolesterolemia non trattata ed aterosclerosi, esitando in una disfunzione erettile poco o per nulla responsiva alle attuali terapie orali disponibili1.

La rivascolarizzazione peniena rappresenta un’arma fondamentale per il trattamento di tali pazienti “poor responder” alle terapie non invasive. Rimane quindi cruciale la selezione accurata del paziente da destinare a questo tipo di trattamento. In letteratura non si ritrovano dati univoci sulla scelta del campione, vi sono casistiche di pazienti “poor responder” a tutte le terapie sia orali che iniettive, così come si trovano casistiche di pazienti trattati seppur ancora responsivi a terapie iniettive. In particolare se si esamina la letteratura pubblicata dal 1980 al 1990 riguardante le angioplastiche senza posizionamento di stent è possibile riscontrare una medio di successo terapeutico del 55%, senza però un follow-up clinico a lungo termine. 

In particolare, negli studi di Angelini e Fighali2, Castaneda-Zuniga et al.3, Valji et al.4, Van Unnik e Marsman5 e Goldwasser et al.6 non vi era alcuna valutazione della disfunzione erettile preoperatoria secondo una procedura standardizzata e il follow-up clinico è stato molto breve. In tutti i lavori è stata eseguita un’angioplastica su arterie di grosso calibro, come le arterie iliache comuni ed interne, anche se sono stati segnalati pochi casi di angioplastica della pudenda interna. Probabilmente la scarsa efficacia di tali studi ha portato ad un parziale abbandono di questo argomento in letteratura negli anni successivi.

Lo scarso successo di tali tecniche potrebbe essere dato dall’elevato tasso di restenosi o più probabilmente all’ipotesi di Montorsi et al.7 sul diametro delle arterie, secondo la quale le arterie elicine dei corpi cavernosi sono le prime ad essere coinvolte da un processo di aterosclerosi e stenosi.

Più recentemente, lo studio PANPI (Pelvic Angiography in Non-Responders to Phosphodiesterase-5 Inhibitors)8 è stato il primo a descrivere le caratteristiche angiografiche della malattia arteriosa pelvica nei pazienti con disfunzione erettile, non responsivi agli inibitori della fosfodiesterasi 5 e sospetto di malattia coronarica. Tale studio ha dimostrato per la prima volta che le arterie pudende interne possono andare incontro a restringimenti aterosclerotici simili a quelli delle arterie coronarie e che il diametro medio era solo leggermente inferiore al diametro medio di una coronaria. È evidente come questo studio abbia riaperto lo scenario al trattamento dei pazienti con disfunzione erettile “non-responder” a terapia orale con inibitori della fosfodiesterasi 5 ed iniettiva con prostaglandine. 

È indubbio che l’angioplastica transluminale rappresenta, in questo gruppo di pazienti, una valida arma oggi a disposizione, sostanzialmente scevra da particolari rischi periprocedurali e con buone percentuali di efficacia, per migliorare la vascolarizzazione e, di conseguenza, la funzionalità dell’apparato genitale maschile nel breve-medio termine, come descritto dall’esaustivo contributo di Sangiorgi et al.9 pubblicato in questo Supplemento. L’urologo e l’emodinamista devono essere gli attori principali di questo scenario terapeutico; fondamentale è la scelta del timing. La buona riuscita della tecnica è pertanto subordinata ad un’attenta selezione del paziente con risultati che sembrano incoraggianti, ma che necessitano di studi con periodi di follow-up più lunghi per definirne l’efficacia nel tempo.

BIBLIOGRAFIA

1. Gandaglia G, Briganti A, Jackson G, et al. A systematic review of the association between erectile dysfunction and cardiovascular disease. Eur Urol 2014;65:968-78.

2. Angelini P, Fighali S. Early experience with balloon angioplasty of internal iliac arteries for vasculogenic impotence. Cathet Cardiovasc Diagn 1987;13:107-10.

3. Castaneda-Zuniga WR, Smith A, Kaye K, et al. Transluminal angioplasty for treatment of vasculogenic impotence. AJR Am J Roentgenol 1982;139:371-3. 

4. Valji K, Bookstein JJ. Transluminal angioplasty in the treatment of arteriogenic impotence. Cardiovasc Intervent Radiol 1988;11:245-52.

5. Van Unnik JG, Marsman JW. Impotence due to the external iliac steal syndrome treated by percutaneous transluminal angioplasty. J Urol 1984;131:544-5.

6. Goldwasser B, Carson CC 3rd, Braun SD, McCann RL. Impotence due to the pelvic steal syndrome: treatment by iliac transluminal angioplasty. J Urol 1985;133:860-1.

7. Montorsi P, Ravagnani P, Galli S, et al. The artery size hypothesis: a macrovascular link between erectile dysfunction and coronary artery disease. Am J Cardiol 2005;96:19M-23M.

8. Rogers JH, Karimi H, Kao J, et al. Internal pudendal artery stenoses and erectile dysfunction: correlation with angiographic coronary artery disease. Catheter Cardiovasc Interv 2010;76:882-7.

9. Sangiorgi G, Colantonio R, Antonini G, Savino A, De Luca F, Sperandio M. Il trattamento interventistico percutaneo può risolvere la disfunzione erettile vasculogenica. G Ital Cardiol 2016;17(10 Suppl 1):12S-21S.