In questo numero

processo ai grandi trial




Riociguat nell’ipertensione polmonare: una freccia in più nella faretra
Il processo ai trial PATENT-1 e CHEST-1 è affidato a Gavino Casu, Laura Scelsi, Marco Morsolini e Andrea D’Armini che ci forniscono un punto di vista critico sull’efficacia di riociguat nell’ipertensione arteriosa polmonare e nell’ipertensione polmonare cronica tromboembolica non operabile o persistente/ricorrente dopo intervento di endarteriectomia. I risultati dei due trial hanno consentito l’approvazione di una nuova molecola in un contesto di malattia con prognosi ancora scadente, essendo stati raggiunti gli endpoint primario (distanza percorsa al test del cammino di 6 minuti) e secondari (resistenze polmonari, NT-proBNP, classe funzionale WHO, score della dispnea secondo Borg, qualità di vita e tempo di deterioramento clinico). Se da un lato da entrambi i contributi emergono chiaramente i limiti dei trial attribuibili al tipo di endpoint primario scelto (di tipo funzionale) e alla breve durata del follow-up (12-16 settimane), dall’altro viene sottolineata l’importanza del raggiungimento dell’endpoint emodinamico, espresso come significativa riduzione delle resistenze vascolari polmonari, della possibilità di allargare l’armamentario terapeutico nell’ipertensione arteriosa polmonare e di avere la prima possibilità farmacologica nell’ipertensione polmonare del gruppo 4 dopo che sia stata esclusa in modo assoluto l’indicazione a trattamento chirurgico di endarteriectomia polmonare. •




Studio HEAT-PPCI e bivalirudina: solo ombre?
Lo studio HEAT-PPCI ha infuocato il dibattito già caldo sulla terapia antitrombotica ottimale in corso di angioplastica primaria. Lo studio, disegnato con l’obiettivo di confrontare l’eparina non frazionata con la bivalirudina in pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST, ha documentato una maggiore incidenza a 28 giorni dell’endpoint combinato di morte, infarto, eventi cerebrovascolari o nuova rivascolarizzazione non pianificata nel braccio bivalirudina, senza evidenti benefici in termini di riduzione degli eventi emorragici. Francesco Saia, Gianni Dall’Ara e Paolo Calabrò ripercorrono con occhio critico il contesto in cui lo studio è nato, interpretano in modo approfondito i sorprendenti risultati con particolare attenzione a far emergere pregi e limiti e sottolineano le questioni ancora irrisolte, tra cui il trattamento in monoterapia dell’eparina non frazionata in corso di angioplastica primaria, i dosaggi appropriati e la scelta del paziente cui associare l’inibitore della glicoproteina IIb/IIIa. Non mancano infine cenni su trial in corso da cui si potranno ottenere risposte più precise sui dubbi lasciati dallo studio HEAT-PPCI. •

editoriale




Bypass versus angioplastica: a ciascuno il suo (paziente!)
In questo editoriale viene proposta una rilettura critica dell’aggiornamento delle linee guida per la rivascolarizzazione miocardica della Società Europea di Cardiologia pubblicate lo scorso anno. Questo aggiornamento, arrivato a 4 anni dall’ultima edizione e la cui “voluminosità” evidenzia l’importanza che l’argomento ha acquisito nell’ultimo periodo, vede molte conferme, alcuni cambiamenti e qualche novità. Flavio Ribichini et al. ci accompagnano con perizia e sintesi in vari contesti delle nuove linee guida, a partire dalla modalità di stratificazione del rischio, soffermandosi sulla centralità del paziente nel percorso decisionale e ribadendo l’importanza dell’Heart Team con la sua peculiare funzione di garante, attraverso la collaborazione di figure professionali diversificate, della pianificazione di una strategia multidisciplinare condivisa e bilanciata nell’interesse del paziente. Abbondano i riferimenti alle indicazioni alla rivascolarizzazione miocardica in contesti clinici specifici e frequenti quali la malattia coronarica stabile e la sindrome coronarica acuta con e senza sopraslivellamento del tratto ST, anche quando associata a scompenso cardiaco e shock cardiogeno. Non vengono inoltre tralasciati commenti su condizioni particolari quali la rivascolarizzazione nel paziente diabetico, con insufficienza renale cronica e con associata malattia vascolare periferica. Particolare attenzione viene data al corretto utilizzo della fractional flow reserve, dell’ecografia intravascolare e della tomografia a coerenza ottica, mentre si sottolinea come l’utilizzo degli stent medicati di nuova generazione venga ampiamente raccomandato lungo tutte le nuove linee guida. Interessanti sono infine i commenti degli autori sull’importanza che riveste la preparazione degli operatori coinvolti negli interventi di rivascolarizzazione miocardica. •

point break




“Clinical competence”: aspettando Godot?
È necessaria la certificazione di “clinical competence” per l’insufficienza cardiaca avanzata? Nella realtà nord-americana nel 2008 ne è stata approvata l’introduzione; nella realtà europea solo alcuni paesi hanno programmi di training per l’insufficienza cardiaca, differenti tra loro e non ufficialmente accreditati; inoltre in nessun paese esiste una sotto-specializzazione in insufficienza cardiaca avanzata. E in Italia? Al momento non esistono programmi di fellowship in insufficienza cardiaca e tanto meno è stata considerata la necessità di una specifica certificazione dei Centri e degli specialisti che attesti il possesso delle conoscenze e delle capacità necessarie per una gestione ottimale dei pazienti. Per verificare se e quanto fosse sentita l’esigenza di una certificazione di alta specializzazione per i Centri competenti e della formazione di cardiologi in tale ambito l’Area Scompenso Cardiaco dell’ANMCO ha promosso questa indagine conoscitiva rivolta a 25 Centri Cardiologici nazionali, nei quali è attivo un programma di trapianto cardiaco e di impianto di dispositivi di assistenza meccanica. Gli attuali percorsi diagnostici e terapeutici per i pazienti con insufficienza cardiaca avanzata sono sufficientemente omogenei sul territorio nazionale? È utile sottoporre a certificazione di alta specializzazione i Centri con maggiore competenza nella gestione dell’insufficienza cardiaca avanzata? È utile sottoporre a certificazione di “clinical competence” i cardiologi che si occupano di insufficienza cardiaca avanzata? Queste le tre domande rivolte ai partecipanti, dalle cui risposte emerge una indubbia e sentita necessità di attivare un percorso di formazione per i cardiologi, di creare un network di medici in grado di omogeneizzare trattamenti e percorsi sul territorio nazionale, di individuare strutture in grado di fornire livelli di assistenza omogenei in conformità alle linee guida. Il lavoro è accompagnato da un commento editoriale di Edoardo Gronda ed Emilio Vanoli, che offre spunti approfonditi di riflessione su un tema che ancora non ha risposte definitive. •

rassegne




Idoneo o non idoneo, questo è il dilemma
La morte improvvisa nello sportivo è fenomeno raro (1-2 x 100 000 l’anno in soggetti di età <35 anni) ma con una carica emotiva e un riflesso mediatico rilevanti, in quanto ritenuta incomprensibile e inaccettabile, colpendo individui che dovrebbero essere più forti e sani della media. D’altra parte è noto che molte cardiopatie a rischio di morte improvvisa possono consentire prestazioni fisiche normali o anche di eccellenza. In Italia una legge del 1982 definisce la tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica e nel 2014 il Ministero della Salute ha emanato un decreto che regolamenta anche l’attività sportiva non agonistica. In questa rassegna Pietro Delise ci fornisce chiarimenti sui criteri di idoneità alla pratica sportiva agonistica e non agonistica e sulla relativa certificazione medica necessaria. Interessanti risultano gli spunti di riflessione sul rapporto costo-efficacia del modello di prevenzione italiano, sul confronto con il modello americano, sull’obbligatorietà dei controlli medici e sulla sporadica e talora inevitabile deriva verso una medicina difensiva in tale ambito. •




Focus sulla trasposizione delle grandi arterie
La trasposizione delle grandi arterie è una patologia congenita cianogena alla quale si attribuiva il 20% delle morti neonatali in era pre-chirurgica, la cui caratteristica morfologica principale è la discordanza tra ventricoli e grandi arterie di efflusso cardiaco. La circolazione dei neonati affetti da tale patologia è quindi in parallelo e sarebbe incompatibile con la vita in assenza di un adeguato mixing di sangue tra lato destro e sinistro del cuore. In questa rassegna Nicola Uricchio et al. ne delineano con precisione prevalenza ed eziologia, anatomia ed anomalie associate, anatomia coronarica ad essa relata, fisiopatologia e modalità diagnostiche. Particolare spazio è dedicato al trattamento chirurgico che attualmente è di tipo anatomico, mediante switch arterioso, con qualche indicazione, per patologie complesse, lasciata anche alla correzione funzionale, popolare sino agli anni ’80, che consiste nello switch atriale. I risultati di quest’ultimo intervento erano infatti buoni nell’immediato (mortalità 1%) e tardivamente (sopravvivenza a 20 anni dell’80%). Tuttavia la progressiva disfunzione del ventricolo destro, la penalizzante insorgenza di aritmie e la necessità di impianto di pacemaker, oltre ai reinterventi per ostruzione delle vene polmonari o del tunnel venoso sistemico, hanno alla fine favorito la correzione anatomica che presenta a tutt’oggi bassa mortalità (3%) e buona sopravvivenza a distanza. Purtroppo la necessità di reintervento non è infrequente con una mortalità a esso relata comunque bassa.
Le immagini di corredo all’articolo permettono di comprendere in modo molto chiaro le tecniche chirurgiche anche ai non esperti del settore. •

studio osservazionale
Articolo del mese




Un’istantanea dai laboratori di Emodinamica: lo studio GISE TOLOVE
La survey presentata in questo articolo da Marco Mojoli et al. è stata promossa da 4 delegazioni regionali SICI-GISE (Toscana, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna). Nata dall’esigenza di descrivere l’attuale pratica clinica e quindi l’applicazione dei principali dispositivi e farmaci innovativi più recentemente introdotti, essa vede coinvolti 97 laboratori di Emodinamica di un’area territoriale ampia ed economicamente omogenea. Lo studio fornisce una “istantanea” sulle abitudini di utilizzo di stent medicati di ultima generazione e con polimero e scaffold riassorbibili e di palloni medicati. Non mancano inoltre dati sul tipo di antiaggregante piastrinico utilizzato nei laboratori e sulla durata della terapia di doppia antiaggregazione piastrinica prescritta. Interessante infine il dato di un sotto-utilizzo della diagnostica coronarica invasiva ( fractional flow reserve [FFR], instantaneous wave-free ratio, ecografia intravascolare, tomografia a coerenza ottica), paradossalmente anche in casi ove essa è indicata come elevata classe di raccomandazione (FFR). Questa survey, che ha riscosso un’ampia adesione, ha messo in luce una larga diffusione ed applicazione delle innovazioni farmacologiche e tecnologiche in cardiologia interventistica coronarica con una sostanziale omogeneità inter-regionale. Due i fattori limitanti l’adozione di nuove tecnologie e nuovi farmaci: quello di natura economica e la ridotta disponibilità di evidenze scientifiche derivanti da studi clinici con follow-up a lungo termine. L’articolo è offerto alla discussione attraverso la piccola posta ( piccolaposta@giornaledicardiologia.it) fino alla fine del mese di marzo. •

dal particolare al generale




Occlusione coronarica cronica e approccio retrogrado: basta pensarci!

Per Gabriele Gasparini et al. questo caso clinico è strumento per focalizzare l’attenzione su una delle sfide più impegnative della cardiologia interventistica: l’angioplastica dell’occlusione totale cronica coronarica. Un uomo di 73 anni con anamnesi positiva per pregresso bypass aortocoronarico giunge all’attenzione degli autori per angina da sforzo con evidenza strumentale di ischemia inducibile anterolaterale. Esclusa l’opzione di reintervento chirurgico, fallito il tentativo di approccio anterogrado, si è deciso per una rivascolarizzazione percutanea retrograda, sfruttando il graft venoso per il primo ramo diagonale e quindi il circolo collaterale epicardico dell’arteria coronarica interventricolare posteriore distale. In questo modo una doppia occlusione totale cronica di arteria coronarica interventricolare anteriore è stata trattata per via percutanea con il risultato di una rivascolarizzazione completa del vaso e remissione dei sintomi. Negli ultimi anni vi è stata crescente evidenza che il trattamento delle occlusioni totali croniche possa avere un notevole impatto benefico sull’outcome dei pazienti e questo caso lo conferma. •




Perforazione coronarica durante angioplastica: l’unione fa la forza

Interessante questo caso clinico propostoci da Lucia Barbieri et al. perché pone l’attenzione sul trattamento di una complicanza temibile anche se infrequente quale la perforazione coronarica durante procedura di angioplastica, allargando il campo ad una revisione esaustiva della letteratura attualmente disponibile. Paziente con angina instabile e malattia critica lunga e calcifica dell’arteria interventricolare anteriore documentata durante coronarografia eseguita per via radiale. La procedura si è complicata con perforazione severa trattata con gonfiaggio prolungato e solfato di protamina e.v. mentre in contemporanea il reperimento di un secondo accesso arterioso (femorale) ha permesso l’inserimento di un catetere guida nello stesso vaso (previo sgonfiaggio del pallone), con posizionamento di stent ricoperto a livello della perforazione con risoluzione del quadro. Finito qui? No, perché subito dopo il paziente ha accusato dolore con sopraslivellamento del tratto ST in sede anteriore da trombosi acuta dello stent, che ha reso necessario inserire un nuovo stent medicato al biolimus. A distanza di due anni il paziente è asintomatico e senza evidenza di ischemia inducibile all’esame scintigrafico. Tutto è bene quel che finisce bene! •

position paper




Guida di pressione intracoronarica: facciamo il punto

Le linee guida internazionali conferiscono all’analisi funzionale della severità delle stenosi coronariche una indicazione di classe Ia. Tale analisi è entrata ormai stabilmente nella pratica quotidiana dei laboratori di Emodinamica ed è attualmente lo strumento principale per lo studio delle stenosi il cui impatto funzionale sia dubbio alla luce della sola angiografia. Il documento di posizione della Società Italiana di Cardiologia Invasiva-Gruppo Italiano Studi Emodinamici (SICI-GISE) fa luce sulle basi teoriche e sulle applicazioni pratiche dell’utilizzo della guida di pressione intracoronarica. Alla base di questo documento sta la convinzione che una più ampia e chiara comprensione di questa particolare tecnologia possa essere utile non solo all’interventista ma anche al cardiologo clinico e al medico di area internistica che spesso, insieme al cardiochirurgo, si trovano a gestire pazienti affetti da cardiopatia ischemica. Oltre a far luce sulle nozioni teoriche e fisiopatologiche alla base dell’utilizzo della guida di pressione, a fornire una linea guida per l’utilizzo dei farmaci necessari per il calcolo della fractional flow reserve e a sintetizzare le evidenze scientifiche disponibili in letteratura, il documento fornisce anche una stima del risparmio di risorse economiche associato all’analisi funzionale della severità delle lesioni coronariche, risultando pertanto utile anche agli amministratori della cosa pubblica, in un momento come quello che viviamo in cui è sempre più necessario ottimizzare la spesa sanitaria. •